Lidia Menapace: "Non si può essere indipendenti nella testa se si dipende nei piedi"
Libreria delle Donne (Bolzano) 2014 ott. 28 Archivio Vivo Lunàdigas MPEG colour sonoro
Il giudizio sociale start 00:01:18end 00:04:53 Lidia descrive, partendo dalla sua personale esperienza di donna senza figli, la struttura sociale che opprime le donne riguardo alla maternità e osserva come nell'arco del tempo il tabù si sia forse un po' alleggerito.trascrizione LIDIA MENAPACE: "Forse quello che dico non sembrerà verosimile ma io non ho propriamente motivazioni per non avere figli, non ne ho avuti, semplicemente. E pensando alla mia adolescenza, infanzia, il passaggio delle mestruazioni, che sono il primo segno che ti richiama all'idea che potresti anche aver dei figli, non è mai stata assillata dall'idea: "mah, avrò figli, ne avrò, non ne avrò". Se non da appena dopo sposata, quando tutto il parentado ha incominciato a guardarmi la pancia ogni volta che mi presentavo in un qualsiasi posto, per il pranzo di Natale, per far visita a mia suocera, per tornare da mia madre, eccetera, perché allora tutti: "novità, novità?". Io ho cominciato da allora a dirmi: "ma questo si aspettano da me? ma io ho già fatto per esempio la Resistenza, poi ho fatto il Concorso e l'ho vinto, ho già dato alcune prove di me stessa, perché pensano soltanto che debba dare questa prova?". E ho cominciato a rifletterci, e devo dire che considero questo, non la maternità, ma questo assillo della maternità, il dover dichiarare: "io ho deciso di no" come una sovrastruttura culturale molto punitiva, perché mette le donne che non hanno avuto figli - non dico non hanno voluto, non hanno potuto, gli è capitato di, non hanno oggettivamente, come non sono cresciute oltre il metro e 53, come è capitato a me per esempio, di cui, nessuno mi dirà mai: "ma perché non sei cresciuta?". Non sono cresciuta, punto. Lidia è piccola, va bene?
Su questo nessuno imbastisce una specie di processo, mentre quest'assillo di dover per forza dimostrare che sei madre, che puoi essere madre, mi è sempre sembrata una sovrastruttura culturale punitiva.
Nel senso che un uomo che non ha figli, decide di non averne, non ne vuole avere per nulla eccetera eccetera - spesso uno scienziato, un uomo politico importante - vuoi mica che si occupi di figli; una donna può essere una grande scienziata, può anche essere un Premio Nobel, se non ha figli incomincia: "però non ha avuto figli, come mai eccetera". Trovo che sia uno dei segni dell'oppressione femminile culturalmente consolidata dalla Legge Mosaica in qua, diciamo, dal Codice di Hammurabi in qua, quindi una roba che per togliersela da dosso ci vorrà del tempo ancora, non può essere.
Qualcosa è cambiato nel senso, per esempio, che la domanda: "ma tu hai figli?" che prima capivo che era stata sussurrata e poi si dice: "meglio non chiederlo", insomma si capisce quando una domanda è spontanea, non subisce autocensure o censure; oggi è spontanea, è una domanda di curiosità come quella: "dove abiti?".
Molti pensano che io abiti a Roma ma apprendono senza particolari sgomenti che invece abito a Bolzano; molti possono pensare che io ho figli, perché ho avuto parecchi nipoti, a cui sono affezionatissima, quindi può darsi che abbia alcune gestualità o forme di linguaggio che potrebbero far pensare che io possa aver avuto dei figli; appartiene di più al genere di domande di pura informazione, diciamo pure anche di curiosità, ma non insistente, malevola, pesante di quanto non fosse un tempo.
In questo è vero: cioè il passaggio da "non ha figli", come notizia che è meglio tener un po'... a "non hai voluto avere figli?", che è quasi una domanda inquisitoria, al "ma tu hai avuto figli? no" oppure "hai figli?", oppure "i tuoi figli?" nel discorso, questo l'ho notato, è avvenuto, è una cosa grande."soggetto figli giudizio sociale tabù mestruazioni Resistenza famiglia d'origine società patriarcale