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30 Anni Senza Figli

30 anni senza figli

Claudia Camerlingo racconta della sua esperienza di trentenne in carriera, col sogno della maternità nel cassetto, alle prese con aspettative sociali e pregiudizi.

Ho trent’anni e comincio ad avere la tipica ansia sociale della trentenne non sposata e senza figli. Ho sempre desiderato avere dei figli; resto incantata di fronte alle vetrine che incorniciano i mini-abitini ed il profumo dei bebè per me è inebriante. In passato, credo di non aver mai considerato l’opzione di non averne, di non poterne avere, di non volerne. Ma anche da piccola ho sempre avuto ben chiaro il mio obiettivo di autodeterminazione e soprattutto di emancipazione.

In questo, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale i miei genitori. Non studiare, non crearmi un futuro o una strada a senso unico per me stessa, non è mai stata un’opzione. Del desiderio di emancipazione ne ho fatto quindi un leitmotiv della mia vita. Sono una ragazza tutto sommato normale, non ho grandi predisposizioni, ma mi impegno moltissimo e posso dire di aver ottenuto in fondo un buon grado di soddisfazioni.

Da piccola, mi immaginavo ai miei 30 anni sposata e con un figlio. Da adolescente, immaginavo i miei 30 anni da donna in carriera super impegnata e realizzata. Alla soglia dei 30 anni, mi rendo conto di non essere diventata nessuna delle due versioni di me stessa. Ma credo fermamente di essere comunque la versione migliore a cui potessi mai aspirare. Mi sento tutto sommato realizzata, ho un compagno che considero della vita ed una buona stabilità economica. Insomma, potrei permettermi un figlio. Ma verità è che ora non ne voglio, non mi sento pronta, sono spaventata. Sento di avere ancora troppo da fare, troppi obiettivi ancora da raggiungere.

Ho capito che quando maturi un grado di consapevolezza nella vita rispetto alla tua identità di donna e di essere umano indipendente, l’idea di mettere al mondo un esserino che dipende da te al 100% spaventa. Mi chiedo spesso: cosa resterà di me quando avrò un figlio? Cosa porterà via la maternità di quella ragazza sempre impegnata e focalizzata? Cosa ne sarà della mia relazione felice ed equilibrata quando avrò un figlio? Le mie passioni, i miei interessi, i miei amici, il mio lavoro che ruolo avranno nella mia vita dopo un figlio? Sarò in grado di difenderlo dalle brutture della vita, educarlo all’empatia, proteggerlo dalle delusioni?

Probabilmente, non esiste un manuale di istruzioni, una scelta giusta, una risposta universale di fronte a queste paure. Però sento che il mondo vuole vedermi pronta; mi sento forzata ad accettare la remota ipotesi che, se dovessi avere un figlio, dovrei sacrificare qualcosa di me stessa, cercarmi un lavoro diverso, tanto per cominciare. E questo non mi piace. I feedback esterni, i confronti con le amiche e la famiglia, non mi spingono a considerare altre opzioni; non si può pensare che sia il tuo compagno a ridurre le ore lavorative, che poi chi lo porta lo stipendio a casa? Nessuno te lo dice apertamente, ma è un sottotesto abbastanza evidente quando si discute della cosa, ed io, troppo nervosa, troppo ferita, lascio perdere, ché questa è la mia vita, alla fine decido io.

È per questo che anche se desidero un figlio (e probabilmente lo avrò) mi sentirò sempre ed irrimediabilmente una Lunàdiga. Lo sono perché quando avrò un figlio, lo farò perché il desiderio di averne uno sarà più forte delle mie paure e perché la consapevolezza di cosa la maternità rappresenterà nella mia vita sarà nitida e non più sfocata.

Sarò madre perché lo sceglierò io e non perché mi sentirò costretta da un’imposizione sociale.

di Claudia Camerlingo, Redazione Lunàdigas

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