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Monica Trettel dà voce in prima persona alla storia della scultrice francese Camille Claudel.

La raccolta scritta Monologhi impossibili, raduna le voci, le parole e le idee di tante donne (e uomini) reali e immaginarie, accomunate dalla scelta di non aver avuto figli.
Un bel gruppo di lunàdigas ante litteram.
I Monologhi impossibili, attraverso un viaggio nel Tempo, danno voce sia a reali personaggi storici vissuti in altre epoche quali eroine, dive del cinema, artiste, poetesse, mistiche, banditesse e altre, sia a figure del Mito e dei fumetti, e ancora alle donne e agli uomini della letteratura antica e moderna.
Donne (e uomini) forti e risolute, celebri e non solo, che siano state anche involontariamente un riferimento per la scelta di essere Lunàdigas.
Il titolo Monologhi impossibili si riferisce esplicitamente alla famosa serie radiofonica degli anni Settanta intitolata Le interviste impossibili e da quella prende spunto per far parlare, in forma scritta, donne di tutte le epoche. Frida Kahlo, Dora Maar, Vittoria Colonna, Jane Austen, Barbie, Marilyn Monroe, Dorothy Parker, Maria Callas, Camille Claudel, Rosa Luxemburg, Lucy Van Pelt, Dafne, Hélène Kuragina, Jean D’Arc, Coco Chanel, Francesca Alinovi e molte altre meravigliose donne lunàdigas, tali ancor prima che questa definizione fosse stata inventata.

Il libro Monologhi impossibili rappresenta il contributo che l’autore Carlo A. Borghi ha voluto offrire al progetto Lunàdigas – che lo comprende – per sottolineare quanto la scelta di non esser madri sia stata elaborata e ragionata in modo profondo da tutte le persone che l’hanno abbracciata.

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Ecco la trascrizione completa del video:

CAMILLE CLAUDEL: « Io sono Camille Claudel. L’altra faccia di Auguste Rodin, la sua parte femminile.
Ho provato, ma non sono riuscita ad essere sua sposa e madre dei suoi figli.
A Rodin ho insegnato più cose io sull’amore e sul sesso che lui a me sulle tecniche del modellato e della scultura.
Un giorno mi sono ritrovata incinta di lui. E lui, da pensatore qual’era, decise che dovevo abortire.
Lo scandalo sarebbe stato troppo negativo per lui che ormai era una celebrità.
Soltanto mio padre mi ha sostenuta moralmente ed economicamente dopo l’abbandono di Rodin e la cacciata dal suo atelier.
Di me hanno detto che ero un’artista donna che viveva come un uomo, tanto sono stata decisa e volitiva. Mi hanno definita “paranoica pericolosa”, perché in un impeto di rabbia ho fatto a pezzi alcune mie sculture.
Le opere che si sono salvate sono finite nei musei. Io, sono finita in manicomio.
Ho conosciuto angoscia, nevrosi, panico, terrore. Anche se i medici del manicomio dicevano che potevo tornare alle mie sculture.
Ma i miei familiari hanno preferito tenermi reclusa, come un’irrecuperabile indemoniata. Così sono stata internata per trent’anni, senza poter scolpire nulla, fino al 1943, anno della mia morte.
Gli psichiatri del mio tempo dicevano che le donne sono “precipizi psichici”, sempre in bilico tra sensualità e sensibilità esagerate.
Mio padre era morto nel 1913 proprio mentre mia madre firmava le carte per l’internamento, con il consenso dei miei fratelli. Non avevo più nessuno che mi difendesse e sono morta da reclusa.
Restano di me sessantasette sculture e una quindicina di disegni.
Viste insieme sembrano una grande famiglia: quella che non ho mai avuto. »

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