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Maria Paregger, dottoressa esperta in medicina antroposofica, e Claudio Risé, scrittore e psicoterapeuta, dialogano sull’identità della “donna selvatica” a partire dal libro che le hanno dedicato: Die Saligen, tradotto in Italia nel 2015 con il titolo  Le donne selvatiche – Forza e mistero del femminile. Un’occasione per ragionare sul tema della scelta della non maternità all’interno della vita intesa antropologicamente come relazione di dono.

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Ecco la trascrizione completa del video:

PAREGGER: «Le donne selvatiche sono l’anima della natura o sono anche lo spirito della natura, sono l’immagine spirituale della natura. E loro conoscono bene le leggi della natura. Vengono raccontate nelle saghe perché anche le saghe raccontano dello spirito della natura; le saghe sono dei rimasugli di un’antica sapienza spirituale della natura e sono immagini femminili che vivono anche dentro di noi come archetipo, come immagine che dà energia o così la si può cercare dentro di sé. Io l’ho trovata nei sogni, poi me la sono immaginata nella natura. Loro sono un vero… sono appunto figure femminili che sanno le leggi della natura, sono naturali, danno consigli, sono molto generose, danno dei doni che non finiscono mai e quindi rispecchiano questa abbondanza che tu però è meglio che non la fermi con le domande intellettuali. Tipo se regalano un gomitolo che non finisce mai allora è meglio che non chiedi quando finirà perché allora finisce. Quindi hanno questa grande abbondanza, questa generosità, questo sapere della natura. Sono protettrici degli animali, quindi hanno anche tutto questo ambiente dell’animale, sono vicine all’animale, anche al cacciatore se il cacciatore è un uomo giusto e buono. Poi vengono dai contadini, come serve, e aiutano, allora se vivono in questo maso allora tutto va bene, le mucche danno tanto latte e tutto cresce bene.
Si uniscono anche in matrimonio, diciamo, col contadino chiedendo però… con la promessa però che il contadino non chieda mai il suo nome, cioè vogliono tenere un segreto. Tenere un segreto è quella cosa che mi ha più colpito perché appunto queste donne della natura ci tengono molto ad avere uno spazio interiore loro, un loro spazio interiore, che gli permette di essere poi anche appunto, come abbiamo scritto nel libro, “una con se stessa”, una che sa proprio stare con se stessa, che trova da sé le sue energie, le sue abbondanze, il suo sapere. »

RISÉ: « Quello che appunto mi ha colpito della donna selvatica, da sempre, di questa immagine è la sua interezza; la sua interezza cioè l’essere una con se stessa, non le manca nulla e tuttavia la sua grande apertura, la sua grande apertura al mondo, la sua apertura all’altro, la sua apertura al contadino che si innamora di lei, la sua apertura nell’offrire il suo sapere, anche nel fare i figli, naturalmente, la sua disponibilità al contadino che la ama e vuole dei figli da lei e lei dà questi figli e questi insegnamenti perché il maso fiorisca e la terra fiorisca: quindi questa interezza e questa generosità che non le impedisce di salvaguardare il suo segreto. Io credo che lì ci sono, per quello che ho visto anche nella mia vita personale, e nel mio rapporto coi pazienti e con gli altri, ci sono alcuni punti molto interessanti e molto centrali del femminile e del rapporto del femminile col mondo: cioè l’interezza, l’essere persona, la relazione con la natura e il dono, che è un tema che ho poi ritrovato appunto anche nei miei lavori sulla paternità; la capacità, la possibilità di donarsi che naturalmente, a mio modo di vedere, viene anche da questo forte rapporto con la natura. La natura si dona, la natura è dono, è il frutto, è questa grande continua creatività, è questa abbondanza, è il “mondo delle abbondanze” come diceva anche Ernst Jünger, è il “mondo delle eterne abbondanze”. Staccandosi da lì il dono diventa molto difficile. Ecco, io credo che lì ci sia un punto centrale sia per la donna che per l’uomo ma certamente, per certi versi, più impegnativo per la donna perché questo dono della vita per la donna passa completamente dal suo corpo, perché il bambino sta nella pancia della donna, non nella pancia dell’uomo. Poi il dono dell’uomo è quello, come nelle cerimonie di riconoscimento della paternità, è l’alzare il bambino da terra, prendere il bambino da terra e metterselo sulle ginocchia a dire “questo è il mio bambino”, indipendentemente che sia tuo bambino biologicamente oppure no. Lì c’è il dono del padre che riconosce la paternità come un impegno che lo vincolerà per il resto della vita, ma il dono della madre è, per certi versi, più profondo, e che coinvolge in modo più completo il suo corpo e la sua identità. »

PAREGGER: « Poi questa donna selvatica fa questi figli, dona dodici, tredici figli ma se questo suo segreto viene… »

RISÉ: «… rivelato… »

PAREGGER: « … rivelato lei va e torna forse solo la mattina presto per pettinare questi bambini. Poi li lascia a questo padre… »

RISÉ: « … … e poi non torna più per niente e lì c’è un aspetto interessante comunque nella maternità ma poi anche nella paternità, secondo me, che i figli non sono tuoi, i figli sono loro, sono dei figli, non appartengono in nulla ai genitori. I genitori hanno questo dono di vita, dono di accudimento, hanno naturalmente un rapporto affettivo ma è necessario per il benessere di tutti e anche per lo sviluppo del mondo che vengano riconosciuti nella loro alterità, cioè il figliolo non è mai tuo. Se pensi che il figlio sia tuo, allora certo, forse è meglio non farlo e comunque non puoi nemmeno farlo perché diventa un impegno sovrumano anche dal punto di vista della natura, perché nella realtà il figlio non è tuo, il figlio è suo, questa è la natura umana. »

PAREGGER: « Sì, a me aveva colpito questa salighe che poi se ne va e lascia questi figli lì ed effettivamente si può comprendere così che… »

RISÉ: « …è anche la buona madre, quella che è capace di lasciare i figli. E questa è la grande difficoltà anche proprio del mondo moderno, perché c’è questa idea di un rapporto avvolgente che dura all’infinito ma non è così, non è così nella natura e non è così, per la verità, nemmeno nella storia. »

PAREGGER: « E poi io penso anche che la madre deve star bene, e appunto, se il contadino rivela il nome, la salighe non sta più bene e quindi non può più fare la madre, anche forse per quello se ne deve andare; perché lei ha bisogno di essere rispettata, ha bisogno di essere vista e accettata e forse anche poi in quello vede l’aiuto che può dare a questo padre contadino di avere una relazione di non invasione ecco, anche.
Mi è piaciuta anche questa donna salighe perché non regge se invasa dalla… come si dice… dalla curiosità, questa curiosità, questo sapere tutto della natura, della donna invece di lasciare qualche cosa di sacro nella donna che vive con te, lasciarla anche un po’ anche così come è. »

RISÉ: « Ma lì c’è un punto molto importante, secondo me, che è la relativa imprendibilità, imperscrutabilità del femminile. Tu non puoi scrutare il femminile fino in fondo.
La donna e la donna come rappresentazione della natura, la natura è portatrice di un mistero che la razionalità umana, la conoscenza umana non può mai penetrare fino in fondo e da questo punto di vista il femminile, la donna, rappresenta perfettamente questo mistero, probabilmente di più del maschile; non che il maschile sia scrutabile fino in fondo, perché ogni uomo, nella sua completezza, ha un suo mistero ed è importante che ce l’abbia e che sappia anche mantenerlo, però, certamente la donna ce l’ha ontologicamente perché rappresenta più dell’uomo la natura, è più dell’uomo “natura”, è più identificata col corpo. L’uomo, questa è proprio una caratteristica del maschile, è sempre relativamente identificato col corpo. Questo anche spiega la guerra o il fatto che l’uomo sia sempre morto con una certa facilità, abbia messo a rischio la propria vita con facilità per gli altri, per la patria, per la famiglia, per quello che è, anche per gioco mentre la donna fa più fatica in questo, giustamente, perché il suo corpo è sacro perché è anche il corpo della natura.
Io penso che bisogna vedere cosa succede perché se questa è una rinuncia complessiva alla dimensione della maternità o se questa è un’astinenza dalla maternità biologica: credo che siano delle storie molto diverse in questa posizione che può sembrare univoca, credo che ci siano dei mondi e degli aspetti personali, delle storie personali molto differenti di volta in volta. E credo che forse sarebbe interessante, a me interessa quando incontro questa posizione di vedere come poi si articola, come viene declinata la vita personale dal punto di vista ecco proprio del dono di sé agli altri, perché credo che l’aspetto del dono agli altri è centrale nella vita di tutti: è la nostra vita, in un certo senso. Noi siamo, l’uomo è un essere relazionale che vive, cresce, si sviluppa, cambia nella relazione con gli altri che è dono, in gran parte, la parte più interessante, la parte più creativa; questa è anche una delle riscoperte dell’antropologia negli ultimi centocinquanta anni è il dono, non è il mercato, non è l’acquisto, è il dono, che è la parte più significativa. Allora bisogna vedere quando questo ritiro che può presentarsi come un ritiro dal rapporto donativo è effettivamente questo o è un ritiro dalla maternità biologica, quindi una forma diversa di una scelta che c’è sempre stata nella storia femminile.
Appunto le beate vergini sono solo una rappresentazione ma le donne che non facevano figli per ragioni diverse fanno parte proprio della storia del femminile, anche come archetipo. »

PAREGGER: « Sono madri comunque… »

RISÉ: « Sono madri comunque… Diana, Artemide è vergine, è una beatissima vergine ma è anche la protettrice delle partorienti. Profondamente legata a tutto il mondo del dono, della creatività e così via. Quindi bisogna effettivamente vedere come si declina poi nella vita personale. Credo che sia molto importante anche per noi che guardiamo a questo fenomeno come psicanalisti, medici, narratori di storie a diverso titolo, fare bene attenzione a non cadere nella stereotipia, nel creare nuovi stereotipi e quindi anche nuovi stigmi nei confronti di queste donne ma seguirle e riconoscerle proprio nella loro specifica peculiarità di persone che hanno delle storie ogni volta diverse. »

PAREGGER: « Io l’ho trovato… molto importante perché nessuno ne parla. Perché è anche un po’ un tema quasi che non si riesce neanche a domandare all’altro: “perché non hai un figlio?” o anche perché è così complesso… “perché nella vita non hai un figlio?” e quindi… e nessuno ne parla, secondo me. Quindi è molto attuale adesso perché è diventato anche, secondo me, un po’ più difficile affrontare una maternità anche perché non si vede più così tanto che una donna che non ha figli è comunque materna, può essere comunque una madre, si vede molto meno oggi giorno e quindi che questo sia il tema trovo molto molto importante, penso. »

RISÉ: « A me sembra un tema di grande attualità, e lo vediamo anche banalmente, statisticamente, nella continua decrescita nel fare figli del mondo occidentale. Ora questa decrescita, questa caduta nella natalità di questa… della cultura occidentale, certamente riguarda anche gli uomini, anche molti uomini hanno… sono su una posizione di questo tipo, di rifiuto del figlio, ma riguarda anche le donne, e quindi è giusto che venga indagata in entrambi i campi. E riguarda anche le coppie nel loro insieme, tra l’altro, appunto le coppie freechild, sono ormai organizzate in proprie organizzazioni e associazioni e così via, quindi è un fenomeno sociale di grande importanza, è giusto occuparsene, è del tutto sensato e, come ho detto, l’attenzione dovrebbe essere nel non farne, appunto, una sigla di un lifestyle, perché a quel punto è persa ogni profondità e si rientra a grandissima velocità nel consumismo creando, appunto, nuovi comportamenti, quindi, essenzialmente, quello che interessa al nostro modello sociale, nuovi consumi, e così via. Credo che questo sia un aspetto da guardare con grande attenzione e, per il resto, tutto quello che è approfondimento della posizione personale naturalmente è molto utile e assolutamente sensato svilupparlo dato che è uno dei grandi problemi del nostro tempo.
Non è stata… in Italia sì, ma non è stata una mia invenzione, perché, per esempio in America era dagli anni ’70 che si parlava di fahterless society, società senza padri, che si metteva l’attenzione su questo grande fenomeno sociale, educativo, che era il rifiuto del padre di rimanere tale e di prendersi le proprie responsabilità di fronte ai figli e di fronte a tutta la società; quindi era un fenomeno del tempo che io ho incontrato intanto nella mia vita personale, poi nel mio incontro con gli altri e anche nella professione di psicoterapeuta. C’era solo da riconoscerlo e l’ho fatto perché mi sembrava giusto, perché lo vedevo chiaramente. Da allora, per fortuna, mi pare che venga molto più riconosciuto come uno dei grandi temi del nostro tempo e appunto l’ho trovato sul campo. L’ho trovato nella mia vita e nella vita delle persone che ho incontrato, degli uomini e delle donne. »

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