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Da venticinque anni insieme, Stefano e Michel riflettono sul loro sentirsi famiglia,  si confrontano con le rispettive figure genitoriali e ragionano in prospettiva sull’eredità materiale e culturale da lasciare data l’assenza di figli, condizione che in parte hanno scelto e in parte hanno subito in quanto coppia omosessuale.

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Ecco la trascrizione completa del video:

STEFANO: « Credo che famiglia definisca il luogo in cui sono delle persone che si vogliono bene e che decidono ad un certo punto, da un certo punto in poi della loro relazione, di costruire qualcosa, di andare avanti nonostante i cambiamenti che inevitabilmente accadono col passare degli anni in ogni tipo di rapporto. Per quel che mi riguarda, per quel che ci riguarda, secondo me il nostro essere diventati famiglia è stato molto il fatto intanto di esserci conosciuti e di aver vissuto il primo periodo della nostra storia in un Paese che non era il nostro e di aver continuato, per altri dodici anni, a vivere in Paesi che non erano i nostri; curiosamente a parlare, lui francese e io italiano, in inglese, una lingua che non era la nostra pur parlando io il francese e parlicchiando lui l’italiano. Per cui famiglia è vivere insieme giorno dopo giorno e in qualche modo, involontariamente, decidere che le cose vanno avanti. Noi stiamo insieme da quasi venticinque anni, a dicembre saranno venticinque anni, e, obiettivamente, se penso a questi venticinque anni mi sembra che siano passati a una velocità impressionante. »
MICHEL: « Invece per me è stato con il tempo, l’ho già detto, per i primi dieci anni per me Stefano era il fidanzato del momento, come avevo avuto prima tre, quattro fidanzati ; fino a dieci anni pensavo che fosse il fidanzato del momento e poi dopo dieci anni mi sono reso conto che sarebbe sicuramente stato il mio ultimo fidanzato vero; e poi abbiamo preso una casa insieme, avevamo già un cane e ci siamo comprati tante cose insieme, creato un nido, un luogo insieme che prima non avevamo e quindi da quel momento mi sono reso conto che sì, eravamo una famiglia più o meno normale, diciamo, una famiglia moderna. »
STEFANO: « Per quel che mi riguarda c’è un po’ il rimpianto che in questa famiglia non ci sia un figlio nel senso che penso che sarebbe stato bello che la nostra storia potesse essere condivisa e tramandata a qualcuno che avevamo scelto, che avevamo deciso di mettere al mondo, con tutte le varie possibilità che esistono e quindi questo è un rimpianto; il resto si costruisce su se stessi, nel quotidiano, in tutto quello, nei limiti e nelle possibilità, nella voglia di continuare a credere in qualcosa che esiste da tanto tempo. Io devo dire che una cosa che sicuramente ci fa da collante forte è quella di saper trovare il modo di ridere, di ironizzare, di rendere la situazione, di alleggerire la situazione quotidianamente. »
MICHEL: « Basta essere in due per essere una famiglia. Se c’è l’amore, voglia di fare delle cose insieme, creare, fare, pensare al futuro; e poi la famiglia può essere più grande, con amici per esempio, animali, non lo so, ovviamente non sono bambini, però avere altre cose, non solo essere in due per essere una famiglia, però sentire che intorno a noi ci sia qualcos’altro, anche se non sono figli. Io non ho mai avuto la voglia di avere figli, onestamente, e anche i miei nipoti vedo che non è che sono innamorato di loro, o che mi mancano o che voglio vederli spesso, quindi non ho tutta questa voglia di bambini.
Però mi rendo conto, ho appena fatto cinquantatre anni e sono due, tre anni che forse adesso mi piacerebbe avere figli, però mi sa che è già troppo tardi e poi non è mai stato il momento per noi, perché abbiamo sempre cambiato città, lavoro, eccetera e quindi non è mai stato veramente… poteva essere, però non è mai stato veramente il momento giusto di adottare un figlio, per esempio. So che Stefano avrebbe voluto tanto, a lui piacciono tanto i figli. A me… »
STEFANO: « Più che i figli i bambini. »
MICHEL: « Bambini. »
STEFANO: « No, vero è che poi non c’erano nemmeno le condizioni e non ci sono nemmeno tutt’ora perché non è che in Italia si possa deliberatamente adottare dei figli e curiosamente siamo anche attorniati da un numero di coppie, almeno cinque-sei di amici eterosessuali, che non hanno avuto per scelta, perché non è successo, comunque dei figli. »
MICHEL: « Un giorno qualcuno mi ha detto, penso che sia molto vero, che due persone eterosessuali magari fanno un bambino perché si deve fare un bambino, o come dice la mia amica, perché sono tornati “ciucchi” dalla discoteca e che invece per due gay andare avanti e fare tutto quello che c’è bisogno di fare per avere un bambino sarà sicuramente una cosa più pensata nel tempo. »
STEFANO: « No, e poi penso soprattutto che c’è questo grosso nodo scoperto che non capisco perché crei sempre dei grossi problemi che è quello dei bambini che vengono abbandonati, che sono in orfanotrofi, che vivono in condizioni miserevoli: perché non agevolare le adozioni in qualsiasi modo, sia che siano genitori single, sia che siano genitori di coppie monogenitoriali eccetera eccetera? Stabilito che ci sono i presupposti psicologici e materiali atti all’adozione, trovo che sia veramente orrendo non permettere a chiunque di poter adottare un bambino e di poter garantire a tutti i bambini che non ce l’hanno… »
MICHEL: « una famiglia… »
STEFANO: « Una famiglia, la dignità e il decoro, il futuro e l’amore eccetera eccetera. »
STEFANO: « Intanto la mia famiglia di provenienza è una famiglia semplice: mia madre era figlia di agricoltori che per un periodo sono stati anche facoltosi ma che poi sono finiti in niente. Mio padre faceva l’operaio, un uomo con tanti interessi ma con dei limiti causati dalla propria provenienza sociale.
Due persone che si amavano molto a scapito di noi figli, ho una sorella; una madre algida, molto fredda, di queste donne con grandissimi sentimenti ma nascosti dentro, di quelle che hanno deciso che non devono mostrare mai niente e che non devono mai essere affettuose.
Evidentemente davano per scontato che i figli avrebbero, a loro volta, fatto… si sarebbero sposati e fatto dei figli. Devo dire che però, al di là del dispiacere, di cui non si è mai parlato perché non se ne parlava, non ci sono mai state particolari intromissioni nel mio essere omosessuale. Ad un certo punto, io, che sapevo da sempre di essere omosessuale, ho iniziato a vivermela come condizione di estrema normalità, sono andato a vivere da solo, mi sono fatto la mia vita e loro sono sempre stati estremamente civili nei confronti dei miei compagni e non hanno mai ostacolato né criticato quella che probabilmente per loro era una scelta e non una condizione. Detto questo credo che le aspettative si fossero fermate lì, non penso avessero in testa allora, perché parliamo comunque di metà-fine anni ‘70, l’idea che un giorno probabilmente due uomini avrebbero potuto avere dei figli in diversi modi, per cui no, restava, secondo me, un pensiero a quel punto che non era più da prendere in considerazione: “non sarei mai diventato padre” probabilmente per loro. »
MICHEL: « Io, invece, vengo da una famiglia normale, niente di particolare; una madre che lavorava, anche mio padre, due sorelle più grandi di me, quindi io comunque ero il piccolo, l’ultimo della famiglia, sempre viziato comunque. Non ho mai sentito nessuna pressione di capire se avrei avuto figli o no, non mi hanno mai detto niente a proposito della sessualità, diversità e quindi io sono cresciuto con tranquillità e mi sono sentito di fare quello che volevo, senza nessun giudizio… »
STEFANO: « …al punto che anche la sua sorella, che ha due anni più di lui, è una donna senza figli. »
MICHEL: « Sì, senza figli, anche lei non ha mai voluto figli e poi non ha mai cambiato idea, anche se oggi ha due anni più di me quindi ne ha cinquantacinque.
Io oggi potrei, vorrei, sarebbe bello, anche se però mi sa che è troppo tardi. No mi sa, sono sicuro che è troppo tardi. Ma mia sorella, per esempio, non ha mai voluto e non ha mai cambiato idea. Un’altra sorella ne ha avuto tre di figli, però una mezza generazione avanti di me, che ha undici anni più di me, quindi altri tempi, abbiamo undici anni di differenza, sembra più una zia che una madre, una sorella con idee diverse, completamente diverse. Questi dieci anni, dagli anni ‘60 e ‘70 erano un gap importante, con cambiamenti… »
STEFANO: « I miei genitori, per un certo periodo, prima che mia madre si ammalasse lavoravano entrambi, assolutamente una famiglia… »
MICHEL: « Io invece ho avuto un padre che mi ha seguito tanto. Mi faceva fare sport, andavamo in spiaggia, nuotava con me, mi prendeva, mi buttava, mi faceva fare tante cose quando aveva tempo, sì. »
STEFANO: « Io ho un padre assente che, secondo me, è stato il primo a individuare che io fossi diverso e quindi si è allontanato un po’. Nel senso che parliamo comunque di generazioni in cui difficilmente i padri erano presenti, questo è accomunabile anche agli eterosessuali. Però, sicuramente, appunto non condividendo gli interessi tipici dei maschi, il calcio in primis e tutte le cose che ne conseguono, non c’è mai stato un grande rapporto per cui… però per tutto il resto sì, una famiglia assolutamente tradizionale. »
MICHEL: « I miei genitori non li ho vissuti tantissimo perché ho perso mio padre quando avevo vent’anni, quindi ero un bambino più o meno, e mia madre quando ne avevo ventiquattro; quindi vedo intorno a me gente della mia età che ha ancora il padre o la madre o anche tutti e due e quindi è ovviamente una storia diversa con esperienze diverse; i miei li ho vissuto poco perché fino a vent’anni, è pochissimo. »
STEFANO: « Io ho due nipoti a cui voglio molto bene, a cui sono fortemente legato che però, mi rendo conto, hanno degli interessi completamente diversi dai miei. Per cui penso sempre a chi andrà la mia biblioteca di cinquemila libri… »
MICHEL: « …a un ospedale, ad una casa di riposo… »
STEFANO: « …o al macero, perché anche con i figli degli amici non mi sembra ci sia terreno fertile. Vero è che se invece ci saranno dell’eredità fisiche, nessuno si sottrarrà e andranno ai nostri nipoti, ai miei due e alle sue due. Un pezzo di me nel mondo… probabilmente c’è un pezzo di me nel mondo… »
MICHEL: « Secondo me tutti lasciamo… »
STEFANO: « Il piccolo libro che ho pubblicato, i racconti che ho pubblicato, che, a quanto pare vengono tutti conservati nella grande biblioteca di Firenze, è un piccolo me nel mondo, poi non so chi mai li leggerà più; però è un piccolo me nel mondo.
Poi sai, ripeto, non avendo figli non è così semplice creare un’eredità culturale se non sei… fossi un insegnante, evidentemente, ci sono delle possibilità maggiori di… anche per il lavoro che faccio… no, non direi… »
MICHEL: « Anche con gli amici, magari, lasceremo qualcosa, il pezzo di vita che abbiamo fatto insieme, quindi le idee che abbiamo avuto. »
STEFANO: « Certo sì, però siccome gli amici sono più o meno nostri contemporanei c’è il rischio che muoiono anche prima, qualche amico, rispetto a noi. Per cui, non lo so. »
MICHEL: « Tutti lasciamo qualcosa in ogni caso del nostro passaggio su questa terra, penso tutti, qualcosa sì.
Quindi, a proposito di lasciare un’eredità culturale, io non penso di lasciare qualsiasi cosa di culturale, l’unica cosa a cui posso pensare, sapendo, perché mi è stato detto più volte, di avere un’opinione molto forte. L’unica cosa a cui posso pensare è che il fatto di avere un’opinione molto forte possa lasciare qualcosa dietro.
E la seconda cosa: Stefano non ha cinquemila ma tremila, tremilacinquecento libri a casa. Io non leggo i libri, leggo articoli, leggo sempre qualcosa però libri no, e mi lamento sempre di suoi libri a casa, perché sempre di più, di più, di più, di più e mi sono sempre detto se… ho chiesto a lui: “secondo te, il giorno in cui tu non ci sarai più, se te ne vai te prima, che cosa ne farò dei tuoi libri?” e lui mi ha detto: “o li bruci o li butti”. Io, invece ci ho pensato e farò venire i suoi amici a scegliere un po’ di libri e comunque tutti gli altri me li tengo come un patrimonio culturale suo e qualcosa che comunque è stato nelle sue mani. »
STEFANO: « Ecco vorrei che i miei nipoti, nel caso in cui gli restassero, pur non leggendo, o leggendo poco, decidessero di farne un buon uso se non personale almeno comunitario. »
MICHEL: « Secondo me i suoi nipoti vorranno un po’ di soldi per comprare l’iPad o il Kindle, queste cose qui, non i libri di sicuro. »
STEFANO: « … e poi ci sono i suoi oggetti che sicuramente andranno da qualcuno… »
MICHEL: « Io, culturale magari no ma materiale sì. Le mie cose artistiche, le mie cose creative, che faccio, spero che finiranno in case diverse. »

MICHEL: « Senza figli no, però quelle, che è brutto, che non si sono sposate e quindi che non hanno figli, le chiamano “vieilles filles”, “ragazze vecchie” che è veramente brutto quando dicono: “ah, questa qui è una vieille fille’’, perché nessuno l’ha presa. »
STEFANO: « Probabilmente non si userà nemmeno più così tanto… »
MICHEL: « Sì, sì, di sicuro si usa, però lo trovo veramente brutto, una proprio che non ce l’ha fatta… »
STEFANO: « Come in italiano nessuno dice più “signorina” tranne in qualche borgo sperduto… »
MICHEL: « Ah perché signorina è “vieille fille”? »
STEFANO: « Sì, signorina è una che non è sposata. »
MICHEL: « Se chiedi a qualcuno di disegnare una “vieille fille”, farà qualcuno di… disegnerà una ragazza un po’ bruttina. »

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