Matilde e Filippo, giovanissima coppia, si confrontano sull’avere figli, sia come scelta razionale che come spinta sentimentale. Ragionano inoltre sul lato economico legato alla possibilità di scegliere se restare a casa ad accudire i propri figli o meno e se questa scelta è garantita egualmente ad entrambi i sessi in Italia.
Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!
Ecco la trascrizione completa del video:
MATILDE: « Probabilmente – oddio, ho diciannove anni quindi un po’ presto per saperlo, però probabilmente – penso che in un futuro abbastanza lontano mi piacerebbe avere dei figli. Abbastanza lontano perché ci sono tante cose prima, tipo la realizzazione personale e professionale. Non che dei figli comportino un… per forza un limite alla propria realizzazione personale, ma sicuramente professionale sì, in una certa misura, e quindi penso che indicativamente prima dei trenta, trentacinque anni non sarà assolutamente un mio pensiero e poi da lì si vedrà; idealmente mi piacerebbe averne ma sicuramente non prima perché… »
FILIPPO: « Io sì, penso di voler dei figli, anche sicuramente più di uno; non troppo tardi io in realtà perché non voglio poi che ci sia troppa distanza di età, troppa differenza di età tra ma e i miei figli. Cioè voglio che ci sia comunque una possibile condivisione di diverse cose, che sia possibile in base all’età. Quindi comunque, appunto sì, verso i trent’anni ma sicuramente non dopo i trentacinque, quaranta: quello non penso. Quindi sì. In realtà poi scherzo spesso che ne vorrei quattro, però in realtà quello è tutto da vedere; però di base assolutamente penso di volerli. Da parte della mia famiglia sicuramente ho un buon esempio perché è una famiglia molto unita. Siamo io, mio fratello e i nostri genitori; non sono separati, non sono divorziati quindi viviamo ancora con loro e devo dire che si sta molto bene. »
MATILDE: « In realtà io ho un modello totalmente diverso a casa perché, a parte i miei nonni, non c’è nessuno che stia ancora insieme fra zii, genitori, cugini: sono tutti separati; questo non vuol dire che non siano dei modelli di… per come la intendo io… cioè intendo la famiglia, semplicemente, in una maniera diversa: non vuol dire che non sia famiglia, non vuol dire che non siano stati dei buoni esempi in generale. Ecco, forse questo è indicativo, sono tutti separati bene – se si può definire un bel modo di separarsi – ma comunque senza odio, senza rancore in famiglia. Quindi, in generale, anch’io posso dire di avere un modello piuttosto buono di famiglia.
Il nucleo familiare secondo me è più un mito che una cosa veramente necessaria. Oddio, è la forma più tradizionale – che poi neanche tanto, perché alla fine ormai sono quasi tutti separati – però il nucleo familiare è proprio una cosa a cui si è abituati e quindi viene mitizzato, o comunque si dice che sia assolutamente indispensabile per la crescita sana di un bambino in un ambiente protetto della famiglia. No. Almeno, per quello che ho vissuto io, sta ai genitori dare quello che… le necessarie attenzioni, affetto e anche presenza di cui un bambino di cui un bambino ha bisogno e io posso dire che, secondo me, nella vita dei miei genitori e nella mia vita questo ha prodotto assolutamente un cambiamento in positivo.
Per me un figlio non è legato alla coppia, non lo vedo assolutamente legato alla coppia; lo vedo più come, una volta nato, un individuo a se stante. »
FILIPPO: « Però per una coppia è un progetto avere un bambino dopo un certo periodo che si sta insieme. Perché sei innamorato di quella persona e hai un figlio poi, appunto, con quella persona e condividi anche quel figlio con quella persona… ed è anche per questo infatti che… questa è una discussione che abbiamo molto spesso io e lei, in cui io forse mi trovo un po’ limitato da questo punto di vista, che purtroppo avere un figlio… cioè, secondo me io vorrei avere un figlio mio e un’adozione invece mi peserebbe molto, proprio perché non nasce da me, non ha il mio DNA, che è un po’ stupido da dire, però purtroppo è un po’ quello che penso. Proprio perché secondo me comunque… non so… è un’energia in più che ti può portare e secondo me dopo tanti anni che sei in vita, che fai tante cose eccetera… secondo me, toglie anche un po’ un vuoto, un figlio, comunque una nuova vita, da portare avanti insieme a lui. »
MATILDE: « Vuoto? Perché vuoto? »
FILIPPO: « Ma secondo me… cioè è comunque un progetto da fare, non so come spiegarlo. »
MATILDE: « Tu sentiresti un vuoto senza un figlio? »
FILIPPO: « Sì, dopo una certa età secondo me un po’ sì. »
MATILDE: « Secondo me, se si decide di non avere figli poi ci sono ragioni, cioè… è molto difficile parlare di un gruppo di persone che non vogliono figli, perché ci sono le ragioni più disparate, quindi dipende ovviamente dalle motivazioni più diverse, però, secondo me, in generale se si decide di non aver figli si fa una scelta che, secondo me, se è onesta con se stessi, è difficile, sicuramente, molto più difficile dire di non volere figli piuttosto che dire: “sì, voglio figli”. E nonostante un figlio sia una responsabilità enorme paradossalmente è più facile fare un figlio che non farlo, secondo me… »
FILIPPO: « Infatti secondo me è una scelta assolutamente libera, cioè è soggettivo. Se una persona non vuole avere figli è assolutamente libera di non averli, non c’è nulla di male, non c’è nulla in in contrario, assolutamente. Però io dicevo, per come sono fatto io, a un certo punto della mia vita vorrei proprio un figlio, proprio perché la sento quasi come una necessità; penso che la sentirò come una necessità, adesso chiaramente no. Però per come sono fatto io, per come mi conosco, penso che sarà così. Portarlo poi alle partite di calcio, queste cose qua, sarà una cosa che mi renderà felice penso, a una certa età.
Questa idea della cultura che deve esserci una famiglia con un maschio e una donna la trovo sbagliatissima chiaramente e quindi anche su quello trovo giustissimo invece dare la possibilità anche alle coppie omosessuali di avere di avere dei figli, oppure una donna da sola. »
MATILDE: « Ancora meno diffuso un uomo da solo, pochissimi uomini da soli perché, secondo me, di nuovo culturalmente il desiderio di maternità… è molto più diffuso un desiderio di maternità piuttosto che uno di paternità.»
FILIPPO: « Ma perché? »
MATILDE: « Parliamo di una donna, un’ipotetica donna che ha cinquant’anni e decide di avere un figlio. In alcuni casi, non solo, ma forse anche dettato dal fatto che, come dicevi tu, sente un vuoto o comunque un giudizio perché ha cinquant’anni e non ha… »
FILIPPO: « Ma vuoto e giudizio sono due cose completamente diverse. »
MATILDE: « O un vuoto o un giudizio non sto dicendo, non era un’accusa verso te; però potrebbe sentire comunque una mancanza, a volte un giudizio – appunto, per questioni culturali e tradizionali che “la donna italiana i figli ce li deve avere” – mentre è molto più difficile che un uomo arrivi a cinquant’anni e si dica: “Oh mio Dio, non ho mai avuto un figlio, tutti mi guardano strano perché non ho un figlio”. Almeno non mi verrebbe minimamente in mente, mentre invece quando incontri una donna senza figli la prima cosa è: “ma chissà perché non li ha avuti?”.
È una domanda normale? E se incontri una donna con figli ti chiedi: “chissà perché ha avuto dei figli?” Non è una domanda così comune e se incontri un uomo solo non ti viene da chiedere proprio niente. Non ti chiedi se abbia figli, se non li abbia o comunque se li ha o non li ha. Non è una domanda sicuramente automatica. »
FILIPPO: « No, certo. Però è anche nell’ordine naturale delle cose, la procreazione, secondo me. »
Quindi è anche lecito farsi più quella domanda che l’altra. Poi anche per il fatto che appunto, nella nostra cultura accade molto più l’uno che l’altro… »
MATILDE: « Questo sicuramente, punti di vista… »
FILIPPO: « È lecito chiederselo ma senza nessun essere accusatorio. »
MATILDE: « Sì, tradizionalmente sì; se penso alla nostra generazione e alla stratificazione di opinioni che ci sono sulla famiglia – non solo sulla famiglia, sulle preferenze sessuali, sull’identità di genere che sono tutte, più o meno, lo stesso magma – ovviamente non tutte la stessa cosa però rientrano tutti nello stesso calderone – e penso che siamo nel decennio più stratificato sotto questo punto di vista e visto che – oddio, io non sono ancora totalmente abituata a tutti perché delle volte mi spuntano fuori ancora delle cose che non conosco e devo informarmi, però in generale, siamo abituati tutti ad avere amici con diverse preferenze sessuali, diverse identità sessuali, diverse pensieri su figli non figli, adozioni non adozioni… comunque è molto ampio lo spettro ed è quindi secondo me strano per noi venire a chiedere, chiederci: “perché non ha figli?”. Cioè c’è talmente tanta vastità sulla nostra generazione, in particolare sulla nostra perché poi ancora a trent’anni, la generazione prima di noi, secondo me, non ancora tanto; forse da noi, per la nostra generazione è anche un po’ una moda, dover essere “binary, non binary” – oddio, scherzo poi ovviamente, ognuno è libero di identificarsi come si vuole -, però è strano per noi, visto che abbiamo davanti così tanta vastità e così tante cose nuove per le altre generazioni, dover chiedersi: “ma perché non ha avuto figli?”; è una scelta, secondo me, fra le più normali. »
FILIPPO: « No no ma infatti, sono d’accordo. »
MATILDE: «E’ strano che ce lo chiediamo ancora noi, però è sicuramente una cosa che facciamo tutti. E’ un argomento di cui tra l’altro parliamo anche abbastanza spesso fra di noi. A me capita spesso di parlarne coi miei amici e grandi litigate, grandissime litigate perché poi tutti diventano, secondo me, un po’ aggressivi… è una cosa tanto… molto personale, di scelta… »
FILIPPO: « Ma l’identità di genere? »
MATILDE: « No, aver figli; di una scelta che fai, secondo me, anche di pancia perché ci sono sicuramente delle motivazioni più razionali o cose, però poi alla fine se mi chiedi perché voglio avere un figlio, “sì mi piacerebbe, secondo me, è una cosa bella, una vita al mondo o cose, perché mi piacerebbe sicuramente trasmettere delle cose”… però poi è una cosa che viene anche così: “mi piacerebbe avere un figlio”. Quindi ti esponi tanto in una discussione del genere perché è molto molto personale e quindi diventano sempre aggressivissime queste discussioni e tanti, tantissimi dicono – cioè io sono una delle poche bigotte, perché ormai son bigotta – che vorrebbe avere figli. In realtà è difficile da difendere anche questa posizione però… »
FILIPPO: « Sì, però poi appunto è molto personale e soggettivo perché poi nel mio gruppo di amici non ci poniamo più di tanto il problema; tendenzialmente vorremmo tutti dei figli ma non stiamo neanche tanto parlarne, cioè non è una cosa che ci opprime o comunque ci vien già da pensarci, cioè è una cosa che prendiamo ancora con leggerezza avendo questa età. »
MATILDE: « Eh ma voi siete più maschi e questo cambia, questo cambia decisamente.
Noi abbiamo qualche fattore in più da calcolare sul volere o non volere figli.
Sicuramente. La maggior parte delle mie amiche che dicono di non voler figli è perché ritengono di non avere avuto, di non essere in grado, dicono: “Io sono onesta, non sarei assolutamente in grado di prendermi cura di una persona in questo modo. Forse non avrò avuto il modello giusto. Non saprei da dove iniziare ed è un peso, un carico che non posso prendermi”.
I maschi sono… dipende, qualcuno è molto catastrofista e tira fuori l’argomentazione del mondo in rovina e altri – equivalenti ovviamente maschi e femmine, forse più femmine, ovviamente – questioni lavorative dicono che… »
FILIPPO: « Sì esatto, poi c’è anche il lato economico: comunque mi diceva un mio amico che un figlio costa più o meno 100.000 euro, che quindi non è poco. Sicuramente anche quello… poi nel momento in cui si dovranno avere – si vorranno avere… vabbè, comunque ha un costo molto alto chiaramente, quindi già quello secondo me, è un fattore che ti porta… devi volerlo veramente un figlio e quindi è un altro fattore poi da seguire. »
MATILDE: « Però come lavorativo intendevo più… cioè a parte che devi avere le condizioni economiche per poterlo fare e già lì ti devi organizzare, ecco, però dal punto di vista lavorativo intendevo soprattutto dal punto di vista femminile le questioni di carriera in corso, lavori, maternità non date, lavori con contratto non a lungo termine, licenziamenti… »
FILIPPO: « Soprattutto in alcune tipologie di lavori è un problema, purtroppo, un po’ irrisolvibile perché comunque il figlio nasce dalla donna, la maternità di nove mesi ce l’ha la donna. »
MATILDE: « Esiste la paternità. »
FILIPPO: « Io parlo di alcuni lavori in cui non puoi proprio fisicamente fare quel lavoro se hai un figlio in pancia. »
MATILDE: « Sì ma la gravidanza, se penso… »
FILIPPO: « Che è chiaramente ingiusto da un certo punto di vista ma non è cambiabile. »
MATILDE: « Sì ma in una gravidanza standard, mettiamo che si smette di lavorare al settimo, ottavo mese, forse – non so, non sono informatissima, però secondo me settimo, ottavo mese – e si ricomincia a lavorare – mia è madre un caso strano, ma normalmente dopo il terzo-quarto mese dalla nascita del figlio quindi fai una media di sette-otto mesi – sicuramente dopo tre mesi il figlio non è autonomo che lo puoi lasciare sono a casa tranquillo, se tu non hai la fortuna di avere nonni, risorse per asili, asili nidi che sono molto spesso inarrivabili, hai bisogno che comunque la donna continui a stare a casa. Allora la cultura della paternità è diffusa in un sacco di Paesi d’Europa e non si sa perché in Italia è comunque la donna che sta a casa a seguirsi il “gnagno” e non il marito, cioè pochi mariti vanno in paternità.
Purtroppo c’è un’alta percentuale di datori di lavoro in Italia che appunto non sono corretti nei confronti delle questioni della maternità, però tante – io penso ad esempio a mia cugina, ha appena avuto un figlio, lei è laureata in Economia, lavorava, ha avuto il figlio, ovviamente ha smesso durante la gravidanza e non è contemplato il fatto di tornare a lavorare, perché il papà lavora tanto e poi mica puoi far crescere il figlio con le tate… non lo so, una ragazza di trent’anni che si è fatta il suo percorso di studi, si è laureata, poi per cosa? »
FILIPPO: « Vabbè ma il lavoro non è sempre tutto, eh? Cioè è giusto realizzarsi nella carriera, nel lavoro però, secondo me, anche la famiglia, avere le persone che ami attorno… credo che sia ancora più importante. »
MATILDE: « Perché non puoi avercele se lavori? »
FILIPPO: « No, devi avercele se lavori. Però tu ne parli come se fosse tutto un… »
MATILDE: « Io penso che una ragazza di trent’anni che rinuncia a qualsiasi tipo di lavoro, dopo aver fatto un percorso di studi che sicuramente voleva portare… »
FILIPPO: « Non è una rinuncia, non è che nei prossimi quindici anni … »
MATILDE : « Lei ha deciso di smettere di lavorare. »
FILIPPO: « Ma quella è una scelta personale, non è che l’hanno costretta… »
MATILDE: « Però trovo triste il fatto che una ragazza di trent’anni consideri anche solo il fatto di smettere di lavorare o di portare avanti qualsiasi tipo di attività che sia al di fuori della famiglia, che non sia andare a fare shopping con le amiche. È triste perché ha studiato, ha fatto l’università, ha fatto Economia, che è un’università che non fai… »
FILIPPO: « Ma non lavorerà più lei? »
MATILDE: « No, non lavorerà più. Ha fatto Economia che non è un’università che fai per piacere culturale o di conoscere, l’ha fatta con un fine ben preciso e pratico per andare a lavorare. »
FILIPPO: «Sì, ma le tue prospettive magari cambiano durante la tua vita, se lei è felice con quello perché non può farlo? »
MATILDE: « Sì, ovviamente lo può fare. Trovo che nel 2021 pensare che per una ragazza, appunto di trent’anni, con la testa e le possibilità di lavorare e realizzarsi anche lavorativamente parlando e avere la propria indipendenza, pensare che lei possa contemplare l’idea di stare a casa semplicemente con i figli ad aspettare suo marito a casa, pensare che questo sia soddisfacente per il resto della sua vita lo trovo, posso dirlo, ancora bello arretrato. »
FILIPPO: « Ma magari fra tre-quattro anni si stufa e ricomincia a lavorare. »
MATILDE: « Questo è quello che mi auguro. »
FILIPPO: « Se adesso è felice così, non ci vedo nulla… anzi, beata lei! »
MATILDE: « Ovviamente dipende anche dalla condizione… ovviamente può permettersi anche di non lavorare, anche se non trovasse poi lavoro a quarantacinque anni, non sarebbe una tragedia; cioè il lavoro per lei sarebbe più una questione di realizzazione personale. »
FILIPPO: « A me sembra che tu, per come sei fatta tu, io capisco che la tua ambizione è avere una gran carriera, un gran lavoro e realizzarti in quel modo. Però devi capire che non sono tutti uguali, magari invece la sua ambizione è avere una famiglia con cui sta bene, felice e non necessariamente realizzarsi invece nell’ambito lavorativo. Cioè siccome tu devi porti anche un po’… »
MATILDE: « La realizzazione nell’ambito lavorativo non richiede per forza… cioè, non devi essere il manager che lavora 200 ore settimanali e non torni mai a casa e non stai mai a casa e non passi tempo con la tua famiglia o non passi tempo neanche con te stesso, da solo tranquillo; quella non è per forza realizzazione personale, puoi essere insoddisfatto facendo anche una vita del genere dal punto di vista lavorativo. Io parlo: non lavorare ti porta a non avere, ed essere votato semplicemente alla tua famiglia, ai tuoi figli e a tuo marito ti porta a non aver nessun tipo di – nessun tipo forse no – comunque non avere una realizzazione consistente, tua, propria, personale, di un lavoro che fai tu per te stessa. Questo non vuol dire che tu debba privare la tua famiglia di tutto il tuo tempo; puoi fare qualsiasi tipo di mestiere, puoi fare un lavoro part-time se decidi che per te la tua famiglia è molto importante o un lavoro da casa se decidi che vuoi passare il più tempo possibile con la famiglia, non sto dicendo che tu non debba stare a casa, non ci debba stare con la tua famiglia e il lavoro debba essere per forza da manager superstar… »
FILIPPO: « E allora cosa stai dicendo? »
MATILDE: « Dico che, dal mio punto di vista, una persona, soprattutto una donna, dato il trascorso culturale e storico che abbiamo, deve lavorare; ma è anche un dovere nei confronti anche, appunto, per i trascorsi culturali e storici che abbiamo. Arriviamo fino a qua e poi cosa facciamo? Stiamo a casa, per scelta decido di stare con la mia famiglia a casa e non lavoro mai più e mi faccio mantenere da mio marito? No! »
Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!