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Francesca racconta di come il desiderio di diventare madre abbia accompagnato le diverse fasi della sua vita, fino a una gravidanza non andata a termine.

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Ecco la trascrizione completa del video:

« Io non posso dire di avere preso proprio una decisione in materia nella mia vita, o meglio tutti i tempi della vita mi hanno portata a pensarla un po’ diversamente. Quando avevo vent’anni ne volevo sette di figli. A trent’anni non ne volevo neanche uno. A quantant’anni ho pensato che forse sì, ci potevano anche stare e ho provato anche a farli con vicende che mi han fatto presto capire che forse non era proprio la strada giusta per me.
Adesso sono, non so se dire contenta che alla fine questi figli non siano venuti ma sollevata, sollevata perché non so quanta voglia avrei avuto effettivamente di mettermi in gioco nella vita per un’altra persona, nel rapporto con la società, nel rapporto con la politica, per esempio… quando sono rimasta incinta, in quei mesi in cui comunque contemplavo l’idea di non essere più da sola al mondo, ero arrabbiata, ero arrabbiata perché mi dovevo rimettere a ragionare per esempio proprio sulla politica e sul modo di procedere del mondo in relazione per esempio alla scuola, ed ero così, mi sentivo un po’ obbligata ad occuparmi di cose di cui non sapevo se avevo effettivamente più tanta voglia di occuparmi.
Adesso se devo pensare ai pro e i contro di questa realtà che alla fine credo sia ormai definitiva del non avere figli penso, magari sì con qualche preoccupazione alla mia terza età, nel senso che comunque pensi “sì vabbè, poi sarai sola”… però credo che tutto abbia preso un po’ un’altra strada; adesso so di dover pensare solo al mio di futuro, non ho bisogno di costruire chissà cosa per qualcun altro, ho bisogno di essere contenta delle mie giornate una a una perché comunque è solo rispetto a me stessa che sento di avere un dovere di benessere, di serenità, verso me stessa e naturalmente verso anche tutta la società che frequento, la mia comunità; io in realtà sono una tipa materna, a me piace mettere a tavola le persone, mi piace occuparmi delle persone a cui voglio bene, di figliolini forse ne ho anche tanti nel mondo di cui mi occupo con un’attenzione che forse da parte di un’amica è anche eccessiva.

I tre-quattro mesi che è durata la mia gravidanza sono stati tre-quattro mesi di profonda incazzatura: uno perché trovavo che le donne con figli fossero false perché dicevano tutte: “ah è fantastico dal primo momento che aspetti hai tutta un’altra cosa”, io ero furibonda, furibonda perché non riuscivo assolutamente a prendere le misure con questa cosa che cresceva dentro di me, che non capivo che peso avrebbe avuto poi sulla mia vita e poi con le cose del mondo; io dovevo tornare a confrontarmi con cose che avevo allontanato da me, per esempio la Gelmini e le leggi che stavano uscendo all’epoca sulla Pubblica Istruzione, improvvisamente dovevo tornare ad occuparmi di cose che non mi piacevano per niente e… poi non me ne sono più occupata!

Allora i miei “dintorni” naturalmente non mi hanno giudicato per il fatto che io non abbia figli. Non mi sento giudicata come un nido vuoto o di aver scelto una strada egoista, di aver scelto per me stessa e basta, perché appunto la mia comunità comunque ha nella memoria il fatto che io, in qualche modo, ci abbia provato. Verso me stessa, io ho, invece, una sensazione che non voglio assolutamente chiamare di fallimento, ma è… improvvisamente non essendo io riuscita a portare avanti quelle gravidanze, ho rivalutato me stessa, nel senso che ho capito di non essere Wonder Woman. Ma perché anche aspettavo da me stessa di essere Wonder Woman perché avrei dovuto, nella mia testa, fare un figlio come se niente fosse, cioè ritrovarmi il giorno dopo con una creaturina che mi girava intorno, ma possibilmente avendola partorita in due ore, senza avere mai avuto nausee e senza avere una vera modificazione del mio vivere a causa di un figlio.
Adesso mi è rimasta appunto questa idea di essere fallibile ma non fallita, cioè di essere comunque vulnerabile perché il mio fisico non mi ha sostenuta in un momento in cui comunque gli accadevano delle cose dentro. Ma mi ha dato anche molta più un’idea di un confine, mi sta dando in realtà una maggiore coscienza di chi sono io e delle forze che ho e delle forze su cui posso contare.

Nel percorso ospedaliero ho avuto alcuni incontri, la mia ginecologa che sosteneva che comunque come in passato le donne facevano magari sì nove figli ma con almeno quattordici-quindici gravidanze; lei tendeva a darmi speranze e dire “si riprova, è solo che adesso sappiamo molto prima che aspettiamo un figlio quindi ci rendiamo conto di perderlo anche, cosa che prima non accadeva”. Questa da un lato la parte più accuditiva della medicina in un fatto come quello che è accaduto a me; in realtà poi infermiere e altri medici che ho incontrato poi in occasione del mio aborto, me l’hanno fatto vivere con grandissima naturalezza, cioè poteva essere, poteva non essere, oltretutto nella mia stessa corsia c’erano donne che avevano perso il loro figlio molto più avanti di me nella gravidanza per cui comunque ti senti parte semplicemente di un gruppo diverso di donne da quelle che vedi passare sotto casa per andare al parco dei bambini qui dietro, insomma, mah…

Sì, anche la storia con il mio cane è curiosa.
Io da tanti anni volevo avere un cane ed è arrivata. Lei ha trovato me, in una vacanza che appunto stavo facendo proprio per riprendermi un po’ dallo shock di questa gravidanza non andata a termine. È arrivata una creaturina così di due mesi e si è piazzata nel buco che avevo nel cuore, portandomi, in realtà, grande benessere. Sì io ho anche un atteggiamento molto materno anche nei confronti del cane, lì vengo criticata forse, lì sento la critica della società che ho intorno, ma non credo che questo cane sia per me un rimpiazzo ad un amore che avrei destinato ad un figlio; a me piacevano gli orsacchiotti di peluche quando ero piccola, invece ora ho un canino che mi sta intorno e che gli somiglia».
“Vieni qui topolino, dai!… Nora… eddai… trappolina… stiracchiati… vieni qui dalla mamma… ehi, vieni, oppy… ma sì, dai più su, più su… dove vai, vieni qua, vieni qua… eccola!… mica male, no?”

Io ho rapporti diversi con i figli delle mie amiche, nel senso che scelgo e mi sento molto autorizzata a farlo; considero i bambini che ho intorno delle persone, ci sono quelli che mi sono simpatici e quelli che non mi sono simpatici. Ci sono bambini a cui scelgo di trasmettere tutto un mio… una parte della mia vita; per esempio, in particolare, c’è un bambino con cui sto molto volentieri in campagna a lavorare, a fare, mi dà soddisfazione perché mi aiuta, perché cerca di capire quello che faccio, però lo giudico più un rapporto con una persona adulta, che non come quello appunto genitore-figlio. Io, appunto l’ho anche già detto, sono una persona tendenzialmente materna nei rapporti con tutti, che siano piccoli o che siano grandi; scelgo, come se fossero appunto tutti adulti, perché mi sento giustificata a farlo. Non ho grandissima capacità di sopportare: un bambino che rompe le palle, mi rompe le palle e me ne allontano, rivendico questa libertà dal mio stato attuale, non mi sento obbligata a sopportare qualsiasi cosa perché è piccolo.

Io ho avuto una mamma straordinaria e mi sarebbe piaciuto, per essere una buona persona esserlo nella sua direzione, o meglio, credo che il fatto… credo che mia madre abbia manifestato nel mondo il suo essere una grande persona soprattutto attraverso il suo essere madre, anche perché è stato poi il lavoro della sua vita essere madre a noi. Però sento anche che adesso sosterrebbe molto il mio essere donna, brava persona. Anche nel pensiero “chissà cosa direbbe mia madre se ci fosse o chissà quanto mia madre avrebbe sofferto del fatto che io non abbia fatto figli”, non è un pensiero che mi turba particolarmente perché era una donna intelligente che avrebbe soprattutto, credo, sostenuto il mio sviluppo. Fare o meno i figli, sì, magari la gioia di un nipote, relativamente, se questo nipote non c’era avrebbe saputo gioire di ogni mio sorriso comunque.
Allora c’è un fatto: io sono nata che mia madre aveva quarantadue anni e quindi tutti i parenti in qualche modo sono sempre stati piuttosto adulti, non ho avuto zie giovani o parenti giovani: alcuni di queste con figli, altri senza ma erano già tutti ritornati ad essere adulti e basta, il loro essere genitori là dove c’erano figli era, in qualche modo, un fatto, non dico archiviato, ma comunque normale, non c’era da occuparsi dei figli in modo particolarmente costante perché i figli stessi erano già adulti, io ero la più piccola di tutti i miei cugini. In realtà devo dire, la mia famiglia è una famiglia sicuramente molto tradizionale per molti aspetti ma, come non mi sono sentita particolarmente giudicata nel momento in cui ho divorziato nella mia vita, che per una famiglia cattolica e tradizionale poteva essere anche un dramma, non ho sentito giudicata me stessa né mia sorella né la mia zia che non ha figli per il fatto di non averli; è proprio vita, punto.

Direi il 98% delle madri che conosco quando sono diventate mamme sono state piuttosto monotematiche, 98% perché ne tolgo esattamente due da tutte quelle che conosco; però anch’io quando ho incontrato Nora parlavo solo di Nora per i primi due anni, è chiaro che comunichi quello che ti riempie la vita in quel momento; io mi rompo le palle quando mi si parla di pannolini e di pappe, probabilmente qualcun altro si sarà rotto le palle quando io raccontavo come mi piace andare a passeggio con il mio cane a Villa Ada. »

“Brava, sì sei veramente una bravissima attrice, veramente una bravissima attrice! Topola…. Tieni Nora… Buona la pera, eh?… Adesso a te la buccia… Aspetta… Forza, fuori!… Dai, oppy… e brava… Forza, dietro brava… Dai Norina, vai… Vieni, Nina… Dai, Nora, andiamo…”

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