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Martina, Francesca e Alice discutono di maternità affrontando vari temi: il controllo della società sul corpo delle donne, prima e dopo il parto; l’omosessualità e gli stereotipi di genere, che discriminano i soggetti non solo nella loro quotidianità ma anche riguardo la genitorialità; il rapporto tra biologia ed educazione, per una società meno determinista e più responsabile.

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Ecco la trascrizione completa del video:

MARTINA: « Io ho 23 anni; ricordo chiaramente un episodio successo un po’ di anni fa in cui parlando con un ragazzo gli dissi di non volere figli e lui mi diede dell’egoista e sul momento mi arrabbiai ma non capivo perché, non avevo mai riflettuto su questo tema; poi adesso, con la consapevolezza di adesso, capisco che fin da quando siamo fertili noi donne, da quando il corpo femminile diventa fertile, ci viene affibbiato dalla società questo ruolo di madre… e non mi piace per niente!
Se non aver figli dev’essere un atto sovversivo ok, sarò sovversiva nei confronti della società, non voglio avere figli. Il concetto di trasmissione dei valori credo verrà soddisfatto dalla carriera che ho scelto, che è prettamente creativa, in cui avrò la possibilità di creare videogiochi, quindi opere d’arte che coprono ogni media, ogni forma d’arte a 360° e avrò la possibilità di inserirci i miei valori, la mia visione del mondo in ogni caso. Non credo di aver bisogno di un piccolo essere umano che crescerà in un mondo che ormai è alla fine quasi, perché stiamo guardando i cambiamenti climatici che stanno diventando veramente… ovvi.
Non credo di volere avere figli. Questa è la mia visione di adesso, potrebbe cambiare ovviamente; ho un partner di ventotto anni, non abbiamo mai parlato in modo veramente pratico, però credo che lui rispetti molto… cioè, credo che lui sia molto consapevole del fatto che la scelta di avere figli o no in una coppia sia molto mia, perché io sono, il mio corpo è quello che viene imprestato alla riproduzione e sono molto contenta che lui abbia il rispetto verso il mio individualismo oltre che il mio essere donna. Sì, per adesso credo di non volere figli e se dev’essere un atto sovversivo, che lo sia, non fa niente. »
ALICE:  « Ma, tra l’altro, secondo me il discorso che non avere figli possa venire considerato un atto egoista, secondo me è senza senso, cioè, al limite, forse, io vedo come un atto egoista avere figli. Nel senso che per la mia visione dell’essere madre, dell’avere figli, avere un figlio sarebbe fare una cosa per se stessi, avere una propria esperienza, quindi soddisfare in qualche modo un proprio desiderio; non capisco come possa essere egoista non averceli. »
MARTINA:  « Fossimo in un mondo post apocalittico in cui la specie sta cercando di sopravvivere a fatica potrei capirlo ok, sì, bisogna portare avanti la specie, ma siamo 8 miliardi… »
ALICE: « Mia madre ce l’ha con il fatto che vorrebbe dei nipotini e solita storia, no? Quando ci siamo messe insieme io e te mi ha fatto la battuta: “eh però i nipotini…”  »
FRANCESCA: « Ho capito! »
DOMANDA: « Tu anche l’hai sentita Martina questa… »
MARTINA: « Sì, mia mamma sa, conosce benissimo la mia visione; sa che è più probabile che lei abbia dei nipoti, cioè che lei le dia dei nipoti »
ALICE: « Se le leggi dello Stato lo permettono. »
MARTINA: « Esatto. »
ALICE: « A parte che a livello legale, due donne non potrebbero al momento in Italia avere dei figli, neanche con l’adozione, neanche sposate, quindi io personalmente penso che nel futuro vorrò avere figli, magari una volta che sarò affermata a livello lavorativo. La mia ambizione è diventare medico e quindi ci vorranno tanti anni per cominciare ad avere una, come dire, una vita più regolare, con orari più stabili eccetera; in quel momento lì penso di voler avere figli. Comunque ci penserò più in là, ma anche lì, tornando al discorso di prima è un mio desiderio, penso che sia un’esperienza: forse una delle più grandi, più soddisfacenti esperienze da vivere, però la vedo come esperienza, non la vedo come un obbligo o una trasmissione di valori, la vedo come esperienza. E come un’esperienza dovrà venire dopo tante altre esperienze che nel frattempo avrò fatto. Io la vedo un po’ così.
Poi dipenderà molto da cosa succederà a livello politico. Però non mi sento per nulla libera nella scelta perché è chiaro che se dovessi scegliere se avere un figlio con un uomo o con una donna a livello politico mi conviene più averlo con un uomo, però non è neanche giusto che la mia scelta sia condizionata da questo; dovrebbe essere una scelta libera e non sento che sia libera, ecco. Io non so se perché non ho mai avuto rapporti vicini con famiglie Arcobaleno, però secondo me sono semplicemente delle persone che si trovano e hanno questo desiderio di avere figli… »
FRANCESCA: « …come tutte le altre famiglie… »
ALICE: « …come tutte le altre famiglie e quindi portano avanti questo desiderio semplicemente. Poi si chiama famiglia Arcobaleno ma, cioè è un aggettivo per me, non significa poi altro; è una famiglia quasi tradizionale forse, probabilmente sono la stessa cosa. Poi magari a livello sociale viene più comodo chiamarle famiglie Arcobaleno per distinguerle da altre però per me non cambia nulla sostanzialmente. »
MARTINA: « Io da persona bisessuale mi sento parte della Comunità lgbt+, ovviamente. Sono d’accordo con mia sorella nel senso che l’aggettivo “arcobaleno” crea un po’… va a rinforzare questo binarismo fra eterosessualità e non. Credo che, ovviamente, l’Italia sia indietro anni luce rispetto ad altri stati del mondo e spero che mia sorella non si faccia condizionare troppo nelle sue scelte dall’istituzione italiana e che sappia che all’estero non è così e che la sua scelta sarebbe molto valorizzata e libera. »
ALICE: « Eh sì, ok, però nel momento in cui poi ritorni in Italia comunque non sei riconosciuto come genitore a tutti gli effetti: se ad esempio la mia futura eventuale moglie dovesse andare in ospedale io non avrei nessun diritto di andare a trovarla, di stare con lei; se la mia ipotetica futura moglie dovesse rimanere incinta io non sarei un genitore legittimo, cioè, sono tutte cose che comunque ti fanno pensare. È vero, io posso anche andare a fare un figlio all’estero, però una volta che torno in Italia è mio figlio ma non per la politica italiana; questa è una cosa su cui lavorare, una cosa su cui bisogna fare tanto tanto lavoro, insistere tanto, lottare. Però onestamente, forse la mia visione è un po’ pessimista, però la vedo ancora un po’ lunga la strada in questo in questo senso. »
FRANCESCA: « Io se posso dire una cosa è che… cioè io non li vedo come problemi queste… cioè questi… non li ho mai visti come problemi, almeno per me, il fatto che comunque tutti quegli ostacoli che una famiglia Arcobaleno deve attraversare non li ho mai visti come delle cose che ti debbano mettere di fronte a una scelta. Cioè, solo perché ci sono questi ostacoli allora devo prendere in considerazione che forse è meglio andare con un uomo piuttosto che con una donna, perché è più facile eccetera eccetera, cioè non ho mai visto queste cose come… »
ALICE: « Tu non la vivi così. »
FRANCESCA: « Sì, cioè sono cose che sono così e basta. Sarà che non sono… cioè almeno per adesso non ho interesse a fare una famiglia, quindi non mi si pongono, però, non lo so, ho sempre accettato sia le condizioni esterne derivanti dal fatto di essere donna che dal fatto di essere omosessuale; sono cose che arrivano e le accetti, ma senza nessun tipo di sì fastidio, rabbia, però non che non che possano influire più di tanto. Cioè nel senso: sono così non mi interessa il resto. Se devo andare fuori dall’Italia andrò fuori dall’Italia molto tranquillamente. Cioè sì, rabbia… però accetto molto tranquillamente, non mi farò mettere i piedi in testa da queste cose. »
ALICE: « Io… sì, devo dire che queste cose mi toccano. Poi penso anch’io che nel momento in cui sei convinto di una cosa e vuoi avere un figlio sei pronto comunque ad affrontare queste evenienze, però, proprio perché in questo momento non ne sento la necessità e non ne sento l’urgenza, ho anche tempo per ragionarci sopra e capire effettivamente perché, come; e quindi in questa posizione in cui mi trovo adesso mi viene facile dire: “sì, però non è giusto, però è difficile” però poi nel momento in cui sarà chiaramente mi adopererò, certo. Però ecco… »
FRANCESCA: « No, ma certo. Anch’io sono d’accordo che non sia giusto, che sia fastidioso, che sia una cosa ingiusta eccetera eccetera. Però, boh nel momento in cui vorrò dei figli dirò: “ok”, cioè non mi farò spaventare da queste cose. »
ALICE: « Secondo me comunque tu te la sei sempre vissuta in questo modo anche su tutti gli altri aspetti, non solo sulla maternità. Ti sei sempre vissuta la tua omosessualità in maniera differente da me. Io sono sempre stata più restia al mondo esterno: se c’è la donna che ci guarda male perché ci teniamo per mano ti lascio la mano e queste cose, cioè, tu invece sei più… rivoluzionaria. »
FRANCESCA: « Attaccabrighe. »
ALICE: « Sì, tu speri che qualcuno venga da noi in spiaggia e ci dica: “sì, però non potete stare qui e fare smancerie” così gli puoi dare una testata, io non sono così… quindi insomma penso che sia proprio una tua visione, probabilmente forse anche perché te la sei vissuta per più anni, da più tempo, non so…. può essere… »
FRANCESCA: « Non lo so, non c’ho pensato. Non mi ha mai creato problemi quindi… è sempre stata una cosa normale. Nessuno mi ha mai fatto pressioni, cioè vabbè i miei ci sono rimasti male ma più che altro perché ho un fratello che anche lui è gay, ci sono rimasti male più per lui che per me e quindi io ho solo seguito il flow di questa novità del fratello gay e quindi sono rimasta un po’ in sordina, un po’ in secondo piano. Però, sì, non mi ha mai creato problemi. Non ho mai ricevuto atti di omofobia, è sempre stato accettato normalmente.
I miei sono sempre stati molto tradizionali e quindi si sono conosciuti da giovani e hanno sempre lavorato, hanno lavorato di notte per mantenere i figli. Quindi è una famiglia molto tradizionale che contava molto sulla famiglia, infatti ci hanno fatti molto giovani e quindi ci speravano… quindi sapere che entrambi i figli erano gay li ha un po’ destabilizzati però se ne sono fatti una ragione dopo qualche mese, dopo qualche anno. Però sì, sicuramente c’è un po’ di delusione; poi noi non parliamo molto quindi non so neanche cosa pensino, però quelle poche volte che abbiamo parlato sì, c’era delusione perché comunque credo che un genitore di tipo tradizionale ci conti sull’avere dei nipoti, sull’avere ancora un altro prolungamento di se stessi; però onestamente, mi frega ben poco di questa delusione. »
MARTINA: « Posso commentare la questione del prolungamento di se stessi? Perché credo che sia veramente una bella metafora per rappresentare come la società vede i figli. I genitori in generale tendono a considerare il figlio come prolungamento di se stessi e io lo trovo molto brutto perché viene tolto l’individualismo del figlio. Ho recentemente avuto una discussione con mia madre a proposito di tatuaggi. Credo che lei contasse sul fatto che la sua visione dell’estetica fosse uguale alla mia, io come prolungamento del suo DNA, della sua intelligenza emotiva e tutto il resto… credo si sia sconvolta nel sapere, nel riconoscere, che io sono un individuo, non solo sua figlia. Ho un cervello pensante, ho un concetto mio di estetica. Sì, credo che questa visione, soprattutto materna, del prolungamento di se stessi nel figlio sia un po’ problematica e sia ancora molto presente. Per la mia esperienza personale, nel binomio dei miei genitori, mia madre è sempre stata più restia a vedermi come individuo e più tendente a vedermi come sua figlia mentre nostro padre ha sempre accettato comunque più apertamente che io potessi essere un individuo con le mie caratteristiche, la mia intelligenza emotiva diversa rispetto alla sua. Quindi per la mia esperienza tendo a vedere questa cosa più come materna, però è molto personale. Dall’altra parte credo che ci sia questa consapevolezza, questa tendenza a pensare alla madre come un tipo di genitorialità più diretta e più totale: credo che possa essere derivata dal fatto che la riproduzione, cioè la gravidanza avviene nel corpo femminile. Quindi è una cosa sociale che deriva dal fattore biologico, però sì, è una cosa molto personale, nel senso che mia madre rispetto a mio padre ha sempre avuto più questa visione dell’estensione personale nel figlio. »
ALICE: « Anche perché tantissime volte, tipo nei film o se ascolti magari delle esperienze di altre persone, si sente tanto questa cosa del padre che controlla – uso appunto “controlla” come termine dispregiativo – la figlia femmina. Si sente tanto ‘sta cosa. Noi non ce la siamo per niente vissuta, nel senso che nostro padre anzi è sempre stato quello più… che ci ha sempre più spinto ad essere noi stesse, a farci la nostra vita e invece secondo me nostra madre ha preso un po’ quella parte lì, nel senso che io anche ho dovuto affrontare anni e anni di psicoterapia per sganciarmi da questa cosa, di trovare la mia personalità, di trovare la mia identità rispetto a mia madre quindi, sì, credo che vada molto a esperienza personale. Però penso che se fossimo nate maschi magari la cosa sarebbe stata diversa. Si tende comunque, penso, ad avere un po’ il senso del controllo su una figlia femmina piuttosto che un figlio maschio. »
MARTINA: « Aaah, il patriarcato. »
ALICE: « Secondo me sì, c’è abbastanza ‘sta cosa, poi non lo so perché non ce l’abbiamo vissuta in prima persona però… »
FRANCESCA: « Dipende da famiglia a famiglia, però in linea di massima… »
ALICE: « Forse nelle nuove generazioni questa così sta un po’ perdendo per fortuna, però si sente ancora tanto, mi sento ancora… cioè anche andando a cena a casa di un’amica con i suoi genitori la vedo un po’ questa cosa dei ruoli di genere all’interno della famiglia.
Poi spero, penso, credo che nel futuro, immediato e prossimo, questa cosa un po’ si perderà perché non regge e soprattutto con l’educazione delle nuove generazioni anche i ragazzi di oggi si rendono conto che è sbagliata e che devono avere un ruolo individuale e personale all’interno della famiglia. Quindi penso che.. cioè sono un po’ ottimista su questo ecco, però penso… sono sicura del fatto che ci sia sempre stata e sia ancora presente oggi, soprattutto nelle famiglie oggi adulte. »
FRANCESCA: « Ma poi dipende molto da come dei futuri genitori li crescono: se tu abitui il figlio maschio che deve mantenere un certo tipo di mascolinità e invece la donna… alla figlia femmina le insegni che deve essere bella, deve essere carina e gentile, son tutte piccole cose che poi si uniscono e vanno a creare quella che è la situazione tradizionale, della famiglia tradizionale, in cui i ruoli sono super definiti, eccetera. »
ALICE: « Tra l’altro, scusami se ti interrompo, però qualche giorno fa eravamo andate in spiaggia qua vicino a Noto e abbiamo assistito proprio ad un episodio secondo me calzante in questo senso: c’erano due sorelle e un fratellino un po’ più piccolo che hanno trovato dell’argilla e se la sono spalmata su viso e corpo. Sono arrivati dal padre e fanno: “Guarda, guarda c’è l’argilla. Che bello”. Il padre vede il ragazzino che si era messo l’argilla in faccia e gli fa: “Guarda che questa è una cosa che fa bene solo alla pelle delle ragazze, vattela a togliere subito” e il bambino è andato a togliersela subito, quindi secondo me questa cosa è ancora presente perché abbiamo avuto la dimostrazione pratica. »
MARTINA: « Nella mia visione di nucleo familiare anche una ragazza single con un gatto è una famiglia o il ragazzo che convive con l’amico: è una famiglia… il concetto di famiglia secondo me dovrebbe essere molto più esteso; famiglia per me è un concetto astratto, nel senso che famiglia è ciò che sento come i miei… i miei dintorni più prossimi. Famiglia è… sì, credo sia una buona definizione: ciò che sento come i miei dintorni più prossimi che non è per forza la biologia, i miei parenti perché non tutti i miei parenti li considero la mia famiglia, come un concetto astratto di protezione, di sostegno. No, assolutamente no. Credo dovrebbe essere molto più esteso, molto più astratto. »
ALICE: « E più personale. »
MARTINA: « E più personale, sì; qualsiasi cosa può esser famiglia, io e la mia pianta, io e il mio gatto, io e il mio coinquilino. »
ALICE: « Anche solo tu. »
MARTINA: « Anche solo io, perché no? Sarebbe bello. »
FRANCESCA: « Sì, effettivamente quando si pensa a famiglia si pensa al sangue che hai in comune però non vuol dire niente, cioè è biologia quella, non è affettività, non è emozioni… si pensa… cioè, è il primo nucleo in cui nasci e quello rimane per sempre. Però, effettivamente, si potrebbe estendere a cose più… ad altre persone. »
ALICE: « Nel momento in cui cresci te la scegli un po’, te la crei, insomma. In realtà è un problema che mi sono già a posta molte volte. La risposta immediata che mi sono data è che vorrei avere… fare un’esperienza di madre a 360°, quindi anche portare il bambino in grembo. Poi mi sono chiesta: “Ma non è una visione egoista questa?” e poi mi sono chiesta: “Ma perché mi devo chiedere se è una cosa egoista quando la maggior parte delle coppiette non so lo chiedono?”. Quindi, insomma, mi sono posta il problema; non ho ancora una soluzione, penso che il motivo per cui io voglia fare l’esperienza di madre sia in realtà per fare l’esperienza di madre, per educare, crescere, provare un affetto che penso sia diverso da qualsiasi altro tipo di affetto, verso un figlio.
Quindi penso che sì, mi piacerebbe, comunque, fare l’esperienza della gravidanza, però penso sia una cosa passabile in secondo piano. È una cosa che vedrò più avanti, però, ecco, me lo sono già posta questo problema. Perché poi spesso, davanti a una coppia – anzi chiamiamola pure famiglia, una famiglia omosessuale, magari che dichiara di voler avere un figlio biologico, gli viene spesso detto che sono egoisti per questo. Mentre davanti ad una coppia eterosessuale questo non si sente mai, quindi ci ho pensato. »
FRANCESCA: « Sì, quando gli dicono: “Ma adottatelo”. »
ALICE: « Adottate, sì, sì sì. Ho maturato questa visione per cui, alla fine, l’essere umano è un essere egoista. L’ho maturata soprattutto dopo la psicoterapia in cui mi sono resa conto che vivevo molto per accontentare gli altri, secondo il giudizio degli altri e per compiacere eccetera. Alla fine il modo che ho trovato per uscire da questo circolo vizioso è stato proprio essere egoista, cioè cercare quello che andava bene a me, fare quello che volevo io e seguire il mio desiderio insomma… Alla fine la parola egoismo è la parola essenziale a cui viene spesso data, per forza, una concezione negativa quando in realtà veramente non ce l’ha. Però essenzialmente tutto è egoista anche… sì, anche sdraiarsi sul divano è egoista. Poi non so se voi avete… »
MARTINA: « No, sì, io credo che sia uno di quei dogmi a cui siamo esposti fin dalla nascita e che dobbiamo, possiamo mettere in discussione. Nel senso che come abbiamo detto, viene affibbiato l’aggettivo “egoista” a situazioni che sono solo divergenti dal dogma della famiglia tradizionale: ad una donna che non vuole avere figli, ad una coppia omosessuale che non vuole adottare… però, come dici tu, egoismo è semplicemente pensare al proprio benessere. »
ALICE: « Fare una propria scelta, essenzialmente. »
MARTINA: « Sì, e credo che questa concezione dell’egoismo negativo sia uno, solo uno, di tutte quelle convinzioni, quelle verità a cui siamo esposti fin dalla nascita in una società patriarcale, occidentale e capitalista che dobbiamo mettere in discussione, secondo me.
Ho una un’amica che ha quasi trent’anni che ha un figlio e ha deciso di tenerlo perché sapeva, le era stato detto da un medico negligente che fosse infertile, che non potesse avere figli. Il fatto di essere rimasta incinta per lei è stato un miracolo, chiamiamolo miracolo. Ha deciso di tenerlo. Lei ha questo bambino adorabile di due anni, due anni e mezzo, che si è ritrovata a dover crescere in una situazione normalissima per una ragazza della sua età, cioè di avere più partner, di avere relazioni monogame che finiscono, che iniziano… ho sentito da lei e da altre persone la tendenza a giudicarla per questo, perché non rispetta il binomio padre e madre. Ed è orribile, mi sono sentita molto molto triste per lei e ho cercato di darle, di imprestarle la mia visione: lei e suo figlio sono una famiglia, non è tenuta a dare a suo figlio una figura maschile, una seconda figura maschile e sono convinta che con la sua sensibilità, la sua visione della realtà sarà capace di dare a suo figlio molta più intelligenza emotiva e molto più controllo e regolazione delle emozioni di quanto potrebbe darla una coppia che dà per scontato che ci dovrebbe essere il binomio maschio-femmina per crescere un bambino.
E poi vorrei analizzare il concetto di visione del corpo femminile come una macchina che debba sopportare il dolore e il peso e un sacco di altre condizioni biologiche e mediche solo perché è tenuto – questo corpo femminile- a regalare un figlio la società. Lo trovo disgustoso. Nel senso che, ovviamente, la gravidanza deve essere una scelta libera e deve essere una scelta consapevole nel senso che sto imprestando il mio corpo e il funzionamento biologico del mio corpo per la creazione di un altro essere umano. Va benissimo. Quando però una donna debba sentirsi sotto pressione per fare questo sacrificio di imprestare il corpo per nove mesi per un’ altro essere umano credo che sia veramente sbagliatissimo. »
ALICE: « E nichilista. »
MARTINA: « Molto nichilista. Sì e spero che le nuove generazioni, soprattutto donne, comunque genere femminile segnato alla nascita, riescano ad avere un rapporto con il proprio corpo che sia molto più personale e molto meno: “cosa vuole la società da me?”. Spero, è una speranza per il futuro, per le nuove generazioni. Ma come mia sorella sono abbastanza ottimista, nel senso che quello di cui siamo testimoni, le nuove generazioni, la generazione Z, come viene chiamata, è molto positivo. Sono fiduciosa. »
FRANCESCA: « Sul tema omosessualità, quello è… sul tema differenze di genere sono un po’ più arrabbiata che non sulla omosessualità, forse. Però anche quello, cioè non ho mai sentito come… cioè non mi sono mai sentita una donna, mi sento una persona, cioè mi sento abbastanza neutra come persona tra maschi e femmine, cioè non ho mai sentito la pressione di dover fare niente; cioè, anche per il mio modo di vestire non ho mai magari avuto brutte esperienze con uomini quindi… non sento il bisogno di dovermi catalogare né come donna, né come lesbica, cioè, nel senso, boh … vivo e basta. Poi ovviamente cioè sono super incazzata quando sento le ingiustizie sulle donne, cioè sono super incazzata quando vedo un uomo in casa che non fa niente mentre la donna che fa tutto. »
ALICE: « E quindi ti tocca. »
FRANCESCA: « Sì, certo. Però io personalmente, non lo so, non mi sento di appartenere alla categoria donne, quindi cioè tipo anche il discorso maternità dico: “sì, vabbè, però non lo sento”; il discorso ingiustizie sugli omosessuali mi dà fastidio ma io non me lo sento, cioè non lo so… vorrei cambiare le cose, cioè mi arrabbio se vedo un’ingiustizia, sono la prima a difendere le donne quando le vedo in situazioni un po’ ambigue o pericolose, l’ho fatto più volte, però, tipo su di me non… cioè, non mi sento così in pericolo, non mi sento inferiore, mi dà fastidio ma io non riesco a catalogarmi in certe… non so mi sento un po’ un po’ fuori da tutto. »
MARTINA: « Meno male! Saggia! Mi sembra un bel privilegio da un certo punto di vista. »
FRANCESCA: « Beh, privilegio, cioè me lo sono creato io con la mia testa non è che ci sono nata. »
MARTINA: « Chiaro. Sei segnata femmina alla nascita quindi è una separazione che sei riuscita a fare consapevolmente. Grande Fra’! »
FRANCESCA: « Grazie. »
ALICE: « Invece, anche su questo tema, come prima, sento la pressione al contrario suo e nel momento in cui decido di vestirmi in modo più maschile, sento che la gente mi giudica per questo, che mi vorrebbe più carina e femminile… quindi siamo proprio diverse su questo. Però ripeto, forse perché tu comunque ti sei creata una tua idea maturandola nel tempo. Io diciamo che sto continuando tutt’ora a capire chi sono, come sono, quindi probabilmente sono pensieri che dovrò fare anche più avanti, vedremo. »

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