Alessandra ci racconta della sua vita, delle sue relazioni passate e di come queste non siano riuscite a modificare la sua idea di vita indipendente e piena, grazie soprattutto alla presenza della nipote Maya.
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Ecco la trascrizione completa del video:
« Fin da piccola, quando si giocava a mamma e figlia e… le bambole mi piacevano, per carità. Però tutta questa cosa… perché mio figlio, mia figlia, io non la sentivo una cosa mia, mi piacevano altre cose.
E mi sorprendeva anche questo contrasto, tra me e mia sorella: mia sorella è più grande, vive in Spagna, e lei fin da piccola sapeva che voleva una figlia femmina che avrebbe chiamato Maya, e così è stato. E io invece questa cosa non ce l’ho mai avuta. E non l’ho mai vissuta come una limitazione, un problema, nel senso che per me era una cosa naturale, la sentivo. Poi però che succede, che uno entra nell’età dei primi amori, delle relazioni e inizia a sentir dire: “vorrei avere un figlio“; addirittura ho avuto un fidanzato spagnolo che mi diceva che voleva avere sette bambine, tutte femmine! E io quando sentivo parlare di matrimonio e figli, mi veniva un’ansia perché dicevo: “ok io sto bene con te, voglio stare con te, ma mi stai chiedendo un qualcosa cosa che io non sento.” Quindi già vedevo la fine del rapporto.
Scherzando una volta con mia zia… avevo un amore per metà somalo e per metà italiano. Allora quando lo raccontai a mia zia che viveva in Spagna, lei mi disse: “che bello allora avremo un nipotino cioccolatino!“. Tutto lì, nel senso che non è che mi chiedeva: “tu vuoi avere figli?“. A casa mia nessuno me lo ha mai posto come un problema, come una domanda, una curiosità.
Certo, quando ti confronti con le amiche, quando ci si ritrova dopo la fine della scuola dopo anni, e il novantotto per cento hanno marito e figli e tu sei lì e sei contenta per loro se loro lo sono, un po’ meno se loro non lo sono, se percepisci che non lo siano. Però è una cosa che ho sempre vissuto come altro da me, nel senso che se tu vuoi avere un figlio, sono contenta, ma se io non lo voglio avere perché non devi essere contenta, perché mi devo sentire chiedere: “Ah ma te figli niente? Marito niente?“, “No” tranquillamente. Però diciamo che negli anni questa cosa muta perché si cambia, perché ci si confronta con altre situazioni. Una cosa che racconto spesso è che intorno ai venticinque anni ho avuto un fidanzato avvocato, quindi molto preciso e che mi faceva molto ridere. E parlando di questa cosa, perché pure lui era, non so, il quinto che mi chiedeva, stando insieme: “io vorrei il matrimonio, io vorrei i figli” eccetera, e io gli dissi: “io non voglio avere figli, io non voglio, non mi interessa, non è una cosa che sento mia e quindi molto tranquillamente te lo dico“. Il discorso del matrimonio è un’altra cosa che mi genera turbamento. E allora lui mi disse: “beh, tu non puoi sapere se per tutta la vita non vorrai mai avere figli” e gli dissi: “hai ragione, e allora ti dico: fino adesso non ho mai avuto voglia di avere figli“. E fino adesso, e sono passati altri anni, diversi, io ancora non sento questa voglia.
Amo i bambini. Ecco, magari da giovane avevo difficoltà a entrare in relazione con i bambini, un pochino mi spaventavano, perché secondo me dovevo sbloccare un po’ una difficoltà mia, di ritornare bambina io. Poi quando sono iniziati a nascere i bambini più vicini a me, tra cui, appunto, mia nipote che vive in Spagna e che amo profondamente, io lì ho ritrovato quel canale. Per cui non è il discorso del: “no, i bambini sono fastidiosi, rompono, sono capricciosi“. I bambini sono meravigliosi, quelli degli altri, nel senso che io amo loro, e soprattutto nei confronti di Maya ci sono, e ci vediamo quando possiamo. L’altra sera mi ha telefonato, abbiamo fatto una lunga chiacchierata, abbiamo riso, mi ha raccontato cose – lei non ama molto stare al telefono – e non è mia figlia. Certo, mi rendo conto che il legame viscerale deve essere un’emozione bellissima, nel senso, io ammiro le madri che hanno avuto dei figli e che sono delle brave madri, e che è difficile da definire cosa questo significhi. Per cui io quello non lo potrò sperimentare. Nella vita tutto non si può sperimentare. Uno deve scegliere, deve trovare delle direzioni. Allora quella non mi corrisponde, è bellissima, posso anche arrivare ad invidiarla in certi momenti, però questo non mi preclude altre relazioni, altre emozioni, altre intensità. E’ così. Ho provato anche in analisi, c’ho lavorato, ma magari perché io ho avuto sempre un atteggiamento molto protettivo nei confronti della mia famiglia d’origine, e quindi questo ovviamente può avere generato un’occupazione di uno spazio che io avrei potuto indirizzare verso la maternità. E quindi siccome era tutto occupato da un padre, una madre, un fratello, una sorella, uno zio, eccetera, era pieno, e non mi sono mai posta il problema. Può essere, nel senso, c’ho riflettuto, ci ho ragionato, non lo escludo. Però fino adesso è così. Fino ad oggi io ho scelto consapevolmente di non avere figli.
Io ho avuto questa fantastica zia che non aveva figli, e che è stata per me, soprattutto in certi momenti in cui sentivo la famiglia un po’ troppo assente, la mia seconda madre. E lei era una donna complicata – artista, disegnava, scriveva per bambini. E praticamente lei non ebbe figli, un po’ anche per le sue condizioni. Lei ebbe un incidente, a vent’anni, di macchina, micidiale, e nonostante le limitazioni che ne sono conseguite ha fatto una vita che tante persone, che stanno bene, non si sognano. Viaggiava, si è sposata, tra l’altro è la sorella di mamma che ha sposato il fratello di papà. E poi loro si sono separati, ma sono rimasti, diciamo, marito e moglie fino alla fine, a distanza; si sono continuati a vedere, a frequentare e ad amare. Lei sicuramente sì, è stata un grande modello. Era amata e odiata in certi momenti perché era una che non te lo mandava a dire. Era una persona che c’era, aveva una presenza rara. E io ti dico che, è ovvio poi negli anni, ritornando al discorso della maternità, probabilmente ho pensato che a vent’anni, se fossi rimasta incinta, per errore, avrei abortito, non mi sarei fatta tanti problemi. Adesso certamente la questione cambierebbe, perché cambia anche la tua percezione del mondo, delle tue relazioni con il mondo. E quindi le volte che ho detto: “semmai dovessi avere una figlia, semmai dovessi cambiare idea, semmai dovesse capitare“, anche se non previsto, io l’avrei chiamata come lei, Asun. Sì, era un modello di indipendenza, di creatività molto viva.
Posso dirti quello che è capitato a me una volta andando ad un incontro di lavoro con delle persone, insegnanti. E c’era questo insegnante, ormai proprio prossimo alla pensione, per cui posso capire anche diciamo la matrice culturale generazionale. Io ero con mio padre: “allora, lei è mia figlia“.
“Ah tanto piacere, e lei che fa?”
“Io lavoro con papà”
“E’ sposata? ha figli?“: la classica domanda. Io molto tranquillamente: “No“.
“Eh, ma allora lei è una donna incompleta“. E io lì ovviamente in una situazione di lavoro, l’avrei mandato volentieri a cagare; ma insomma, che ne sai te? Mi lasciò perplessa, non me la presi, ma mi lasciò, come a dire: beh, stiamo ancora a questo livello. Pazienza. Nel senso che l’importante è che la decisione la prendo io, e che io sono tranquilla con questa mia scelta. Anche se poi gli altri non lo capiscono, se insistono. Poi tante altre persone mi hanno detto: ‘tu saresti un’ottima madre”, sì, forse sì, forse no, non lo so.
Certo è che vent’anni fa uno dei motivi che mi facevano dire di non voler avere figli era: non mi sento di potergli insegnare granché. E’ ovvio che adesso potrei, qualcosina.
Io sono editore, mi occupo di libri per insegnare l’italiano agli stranieri, lavoro ereditato da mio padre, la casa editrice è stata fondata da mio nonno e nel tempo libero ho scoperto questa grande passione per la fotografia. Io sono un’osservatrice abbastanza silenziosa, soprattutto nell’infanzia, e in un momento molto difficile della mia vita ho trovato questa forma di tirar fuori. E quindi piano piano, da una macchina più piccola ad una più grande ho iniziato ad appassionarmi di più. E quindi cosa sto facendo? Sto cercando di fare un calendario da regalare ad amici e parenti. L’altro anno ne ho fatto uno bello, che è piaciuto. Però quest’anno ho difficoltà a trovare delle foto altrettanto efficaci. E quindi sto tirando fuori tutte le mie risorse per cercare di trovare qualcosa.
Io mi sono spesso sentita quella strana per certe cose, per altre assolutamente no. Perché, ti chiedi – al di là della maternità – perché quella persona è felice facendo quella cosa e io non riesco a provare nessuna emozione, e perché io mi emoziono semmai trovando l’impronta di una scarpa con una fogliolina, e dico: “fermi tutti“. E mi metto lì, e l’altra persona che mi dice: “ma che stai facendo“. Sul piano della maternità, ripeto, quando da bambini si gioca si fa, poi quando arrivi ai venti, trent’anni vedi che tutti, prima o poi seguono la loro strada, vedi che molti vanno in quella direzione e tu non la senti. Quindi sì, è un tema che mi sono posta. La curiosità c’è. Ma anche nel mio migliore amico: dunque, io ho la mia più cara amica, anche lei non ha figli, e il nostro comune amico dice: “beh prima o poi!“. Noi ci guardiamo: “e poi che?”. Prima o poi per adesso niente, quindi o ci pensi tu… ma neanche lui ha figli, quindi.
Però non la trovo una domanda imbarazzante, perché io non mi sento imbarazzata a dare la risposta. Ovvio che se io non la percepisco imbarazzante, va bene, puoi chiedere, puoi anche andare a scavare. C’era questo fidanzato avvocato che poi essendo lì, andava a scavare, costruiva tutta la cosa, per poi tirare fuori questa affermazione, di cui io gli sono ancora grata, di dire che non puoi sapere quello che tu sarai domani. Grazie. Ma veramente grazie, nel senso che mi dai un pezzo in più di me. Mi dici ok, fino adesso posso dirlo, ma domani non posso sapere se incontro un uomo con cui c’è una sintonia per fare figli, e magari non c’è una sintonia di portare avanti un progetto insieme di altro tipo. Quindi no, situazioni imbarazzanti no. Certo magari ogni tanto trovi dall’altra parte una rigidità nell’accettare una risposta che non piace, la percepisco; cerco di convincere che appunto la mia posizione è serena, non è una rinuncia, non è una protesta, non è un atto di femminismo – io poi non ho mai ben capito che cosa sia il femminismo. Ho una mia idea sicuramente di cosa possa essere. Però poi se vedo che la rigidità continua, e ci sono quelle domande che sono volutamente fatte per farti scricchiolare, beh problema tuo. Nel senso che poi non torno a casa e dico: “eh no perché?“; no, falli te! Ce li hai? Sì. E allora che problema c’è!
Imbarazzi con le madri? A volte è tremendo, perché appunto parlate di cose che io in limitatissima quantità ho vissuto. Quando Maya era piccola e veniva qui con Elena…capisco che tu ne possa parlare incessantemente perché è la tua centralità in quel momento, mi va benissimo. Certo da fuori dico: “parliamo anche d’altro”, ma poi mi rendo conto bene che in quella fase non vedi un film, non c’è null’altro che attira la tua attenzione così tanto, per lo meno il più delle volte è così, per cui ascolto. Che devo dire. Ascolto. Io sono una che ascolta, non è che devo sempre dire la mia, anzi. Da piccola mi dicevano sempre le solite frasi: “ma che ti hanno rubato la lingua? Sei muta, hai un problema?“. Io amavo ascoltare e mi sentivo molto, molto a disagio quando dovevo dire la mia, perché io ancora non avevo molte idee sul mondo, ci ho messo molto tempo. E sì, annoiata sì, altre volte divertita da racconti che non siano solo: “l’ha fatta dura, l’ha fatta morbida, color pantone 527“, insomma non arrivo fino a tanto. Però è un mondo e va rispettato come tale, come io chiedo che sia rispettato anche il mio di mondo. Ma ripeto non è che ho incontrato mai molti ostacoli o imbarazzi.
L’eredità è una cosa a cui ci si pensa, certo. Ma io tante cose so già che le lascerò a mia nipote. Poi adesso ne arriverà un’altra da parte di mio fratello e chissà con lei che relazione ci sarà. Mi auguro bella, intensa come quella con Maya. Però Maya già sa che delle cose quando io non ci sarò più, saranno sue, già gliel’ho detto. Già lo abbiamo accordato, ci siamo accordate su questo.
Nella mia casa ci sono diversi elementi che potrebbero far pensare che qui ci sono bambini. All’ingresso c’è una tentativo di racconto che abbiamo scritto io e Maya, anni fa. Io stavo lavorando sul mio rendermi visibile, essere meno invisibile, cosa che mi ha connotata per tanto tempo, in certe situazioni. E siccome ogni tanto vedo in lei una parte di me, e amando tutte e due i camaleonti, le ho detto: “perché non scriviamo un racconto in cui c’è un camaleonte che decide di non mimetizzarsi più?“. E allora ce l’ho lì nell’ingresso. Come ho un disegno che mi ha fatto quando era piccolina, qui su una tela. Poi anche lei ama il disegno, un po’ eredita questa onda familiare. Ho delle foto con lei, ho dei libri suoi, ho i suoi colori, ho le sue ballerine argentate di quando era piccola. Certo non è una casa piena di, per fortuna dico io, Peppa Pig e compagnia. Ma ci sono degli elementi che mi riportano ad una infanzia, ad una presenza piccola che sta crescendo, che si sta muovendo. Ho i suoi bigliettini di Natale in cui mi dice che mi ama, che mi vuole bene. E sì, ci divertiamo molto, giochiamo molto, ridiamo molto. E vorrei essere appunto anche quello – ogni tanto ho visto che è così – che Asun è stata per me, quell’orecchio che ti può ascoltare riguardo ad alcune cose, nonostante Maya con sua madre abbia un rapporto molto diretto ed è molto bello questo. Ma ci sono delle volte, dei momenti che ha bisogno di dirlo qualcun altro. E quello mi piace molto.
Il mio primo fidanzato aveva delle cuginette che erano molto più piccole di lui, perché lo zio si era risposato in tarda età. E una volta io andai – è un ricordo che veramente faccio fatica a tirar fuori perché è lontanissimo. Andai a fare da babysitter, perché loro avevano da fare, uscire ecc, e con una di loro due – non ricordo neanche il nome, una si chiamava Carmen – sai quando senti che hai un canale aperto senza aver lavorato sull’apertura del canale. C’è un feeling, certo materno no perché io avevo diciassette anni, però una comunicazione. E con i bambini, è la bella cosa dei bambini, che tu puoi comunicare senza usare tanto la testa, semplicemente con il gesto, con il cuore, con lo sguardo, con il gioco, con il verso. Quello è stato un momento particolare. Successivamente, nulla che io ricordi in questo momento – io non ho un’ottima memoria. Queste cose mi vanno e mi vengono. Certo quando è nata Maya, è nata in Spagna, e ovviamente all’inizio era andata mia madre, prima e durante. Poi appena nata mio padre è andato su a Barcellona. Tra l’altro Maya è nata il giorno di mio padre, quindi condividono questo compleanno. Dopo una settimana mio padre torna, io prendo l’aereo e corro da lei. E c’è questa foto bellissima, io sul letto che sollevo questo esserino, piccolo piccolo, che frignava come non si sa che, ed è stato uno dei momenti veramente più emozionanti della mia vita vedere quella cosina piena di vita, piena di potenziale. E mi ricordo che tornata da Barcellona io, per due o tre giorni, forse anche cinque, se tu mi dicevi una parola io scoppiavo a piangere, perché mi aveva veramente toccato nel profondo. L’avevo incontrata, l’avevo trovata. E mi ricordo che tornai in ufficio dove c’era mio padre, mio fratello, e mi ricordo che mio fratello disse una cosa un po’ fuori posto – era di cattivo umore – io lì: “non mi dovete dire niente, perché io sono così emozionata!“. Ogni tanto mi prendono questi momenti e sì, quello è stato un momento indimenticabile.
Mi viene in mente che i rami secchi… non mi ritrovo in questa descrizione, semmai qualcuno mi ha definito così alle mie spalle, o sottovoce. Io mi vedo un ramo che genera altri tipi di fiori, un ramo secco veramente mi fa abbastanza… che poi alcuni rami secchi sono bellissimi.
Quello che mi piace andare a vedere nelle mie foto è quello che diceva la mia amica Sandra, tramite cui ci siamo incontrate: “tu la devi usare; credo che tu abbia nella tua macchina fotografica una lente che rende le cose brutte invece molto belle“. E quindi anche il ramo secco che può apparire orribile, se tu poi ti ci avvicini, lo giri, lo guardi, eccetera, trovi sicuramente un taglio, una prospettiva, una luce che lo rende unico. Quindi ti posso dire che se anche mi chiamano ramo secco lo posso prendere come un complimento.
Volete che svuoti pure la borsa, cosa che detesto fare… ma per ringraziarvi di questa chiacchierata! Che cosa volete sapere? Questa è una lettera personale; questo è mio hard disk dove metto foto, impaginati, back up, quando torno dall’ufficio; briciole, spiccioli; biglietto dell’autobus, mi sono venuti addosso qualche giorno fa. Occhiali, guanti, portafoglio. Questo è il testo di una canzone che mi piace molto dei ‘Cinematic Orchestra’, li conosci? Hanno fatto un documentario ‘The Crimson Wing’, loro hanno fatto la colonna sonora molto bella. La vita dei fenicotteri, migrazioni, la vita e la morte. Soldi sparsi, disordine che regna sovrano. Esenzione ticket di mia madre, che può sempre essere utile. Comunicazione della fiera che oggi all’Eur della piccola e media editoria, dove andrò più tardi. Quaderni di pensieri e di sogni che porto spesso con me; musica insostituibile, le chiavi di mio zio, campanelline, guanti, medicina per l’asma; Tachifludec che in questi giorni ogni tanto mi viene fuori la febbre. Tantissimi spicci. »
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