Elena: "Quello che fai è sempre sbagliato"

La sorellanza start 00.17:46end 00:25:04 Richiamandosi ai modelli di comunità delle generazioni precedenti, Elena riflette sull'importanza di creare rapporti di sorellanza, solidarietà, dialogo e mutuo aiuto tra donne per aiutarle a vivere l'esperienza della maternità come una scelta possibile, indipendente e libera dai giudizi della società,trascrizione ELENA: "C'è una cosa che, secondo me, ancora oggi manca tanto, più andiamo avanti e più mi sembra che le ragazze giovani non capiscono l'importanza di questa cosa, che è proprio la sorellanza, il gruppo di donne che si si sostiene.
Ai tempi la mia mamma, che era del 28, lei mi raccontava che loro erano in cinque sorelle a casa loro, erano tempi di enorme povertà, di una società completamente diversa, però c'era una solidarietà femminile, c'era un modo di creare la comunità femminile all'interno della comunità di riferimento, che diventava un po' il famoso villaggio che cresceva il figlio.
C'è quel proverbio africano che dice: "ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino". Secondo me il villaggio è proprio quello che veniva creato dalla comunità di donne, di mamme che si trovavano insieme e che quindi si aiutavano proprio, si sostenevano anche, in tutti quegli aspetti così delicati, così difficili da affrontare, tanto più con degli uomini che non sono veramente, tante volte, in grado di comprendere alcuni aspetti di quello che significa la maternità per una donna.
A me sembra di vedere che questo modo di sostenersi tra donne stia, purtroppo, sempre più ritrovandosi in alcuni gruppi, ma non sia la regola; è come se fosse venuto un po' a mancare questo senso di solidarietà femminile che è quello per cui l'onestà nell'affrontare determinate cose, la trasparenza del potersi dire anche gli aspetti meno semplici, meno facili del tutto, ci appartiene e dovrebbe essere una cosa nostra, una cosa che ci fa stare bene. Mi sembra che addirittura queste ragazze giovani che hanno figli, a volte veramente prestissimo addirittura intorno ai venti anni, ventidue anni, e che secondo me è molto molto presto considerata la nostra società odierna, addirittura cambiano talmente tanto la propria vita da non frequentare più neanche le loro amiche come se il loro status fosse talmente cambiato da obbligarle ad avere uno stile di vita che non prevede più le amiche. Come se le amiche fossero quelle con cui si sta in giro quando si è single, si va a divertirsi, si va a ballare, si va a fare questo e quell'altro. Quando diventi mamma, ah no, allora devi avere o delle amiche che a loro volta sono mamme, in modo tale per condividere questo piccolo mondo della propria maternità, o, tutt'al più, delle amiche che ancora figli non ne hanno ma ne vogliono, come se fosse quasi pericoloso frequentare una donna che figli non ne vuole quando tu ne hai uno. Chissà, forse perché ti riporta, un po', alla consapevolezza che è possibile anche quello e per qualcuna forse è proprio doloroso pensare: "Oddio, io adesso sono qui con il mio bambino e invece vorrei essere con lei a ballare chissà dove". Non lo so.
Però mi chiedo, davvero, quante di loro si rendono conto di quanto invece sia importantissimo continuare a stare con le proprie amiche, con le proprie persone di riferimento, con le persone con cui sei cresciuta, le persone che ti fanno stare bene perché quelle sono quelle con cui puoi essere completamente te stesso. E quando tu puoi essere completamente te stesso puoi anche dire qualcosa che magari non è ortodosso a tutti i costi come: "In questo periodo mio figlio mi sta sui maroni".
Perché è una cosa che a me è capitato di dire e che in alcune amiche ha suscitato una gran risata e un grande senso di solidarietà: "Anche il mio, guarda, mi risponde in un modo, non lo sopporto in questo periodo, quando mai lo abbiamo avuto!"
In altre situazioni sono sentita invece molto giudicata e addirittura come dire: "Come puoi dire una cosa del genere? Non puoi dire una cosa del genere! È sbagliato, è immorale dire una cosa del genere!".
Mentre si sfido qualunque madre di adolescente a non dire che almeno cinque volte al giorno gli vorrebbe mettere le mani al collo. Io sfido voglio vedere una mamma di adolescente maschio o femmina, che sia, che dice: "No, no, tutto bene, tutto perfetto. È solo amore!". Io non ci credo, neanche morta, non ci crederò mai.
Il problema è che quello che fai è sempre sbagliato. Per cui se non fai figli e "sei un'egoista e come puoi non avere a cuore il destino dell'umanità e come puoi non assolvere al tuo compito naturale che quello di fare un figlio?" Se ne fai uno solo: "Eh, però come mai hai fatto un figlio solo? Ma ti rendi conto che per lui è sbagliato e chissà come si sente solo e poi uno solo lo vizi" Se ne fai due: "Eh però due, sai, adesso con la sovrappopolazione ". Ne fai cinque: "Ma che cosa ti salta in mente, ma sei fuori, ma chi paga per queste spese?"
Insomma, dove ti muovi ti muovi, sbagli. È come il tizio con l'asino, no? Che se ci sale sopra maltratta l'asino, se ci cammina affianco è scemo perché ha l'asino e non lo sfrutta, se se lo porta in groppa e ancor più scemo
Insomma sembra proprio che qualsiasi scelta facciano le donne, possono essere giudicate e giudicate malamente, non in base alle proprie scelte, ma in base al fatto che si permettono di scegliere. È questo che a me sembra il problema principale.
Cioè che in questa società la donna venga ancora presa come una che non ha il diritto di scegliere, perché qualsiasi cosa faccia non è quella giusta."soggetto comunità sorellanza giudizio sociale scelta