Susy Bellucci: "Faccio parte di una generazione che ha creduto in una socialità diversa"

L'infanzia start 00:02:55end 00:10:23 Susy Bellucci racconta la sua infanzia e la malattia che ha determinato la scelta di non avere figli, condizione vissuta con serenità a differenza di altre donne con vissuti simili e nonostante i giudizi subiti a livello sociale e familiare, in primi dal padre. Susy racconta di come dalla sua infanzia abbia ricavato un'eredità immaginativa utile nel suo lavoro.trascrizione SUSY BELLUCCI: "Beh, io ho cominciato subito male da piccola perché pochi anni dopo la mia nascita mi sono ammalata. La malattia ha caratterizzato tutta l'infanzia costringendomi a letto per lo più, o comunque rinchiusa in casa e lontana da tutte le cose che fanno normalmente i bambini: quindi spazi all'aperto, convivialità, giochi in comune, niente di tutto questo. Isolata, in casa, chiusa con questa brutta malattia, per altro ho vissuto anche momenti drammatici eccetera. Poi sono fortunosamente scampata a questa malattia, pur con tutte le conseguenze che fisicamente mi aveva lasciato, a cominciare da una funzionalità renale decisamente difettosa. Quindi cosa è successo? Che crescendo mi è stato sconsigliato di avere figli, sconsigliato perché sarebbe stato pericoloso sia per me che per il bambino. Questa cosa devo dire che non è stata per me - questa cosa alla quale per altro mi sono attenuta - non è stata per me un dramma, non è stata una forzatura grave. Probabilmente se avessi avuto la possibilità di avere figli senza pericoli, con leggerezza, chissà; come spesso succede, uno fa figli. Ma io non potevo farlo, e non ho sentito questa costrizione come un dramma nella mia vita. Assolutamente non l'ho sentito.
Durante il mio percorso ospedaliero mi è capitato invece di conoscere tante donne che vivevano questa limitazione come un dramma esistenziale, un dramma imprescindibile per cui si sono sottoposte a gravidanze a rischio, oppure insomma del resto, voglio dire, adesso fortunatamente queste malattie si guariscono con il trapianto e quindi anche fare il trapianto nell'ottica di poter finalmente avere un figlio eccetera eccetera: insomma veramente come se la loro esistenza, l'esistenza di una donna non avesse significato se non ci fosse l'esistenza di un figlio, la possibilità procreare.
Io non ho sentito questo dramma, ribadisco, però mi sono resa conto che anche socialmente, non solo individualmente, ma anche socialmente, questa è una cosa che viene mal giudicata. Una donna che non procrea è una donna senza significato, che non ha un'utilità sociale e che non ha una motivazione per vivere. Questa cosa, del resto, mi è stata detta in primis da mio padre, che invece di consolarmi di questo percorso difficile è stato il peggior giudice. Ma insomma anche confronti con amiche che avevano figli eccetera, non mi sono stati risparmiati commenti abbastanza dolorosi. Fortunatamente io non me la sono tanto presa, perché dentro di me io non sentivo che questa cosa per me fosse un trauma, ecco, questo non l'ho sentito; probabilmente, ribadisco, se non avessi avuto il problema dei reni, forse un figlio l'avrei anche fatto, non lo so, non lo posso dire. Però questo problema è stato comunque determinante.
Per i casi strani poi, la vita che naturalmente percorre vie imperscrutabili, mi ha portato a fare l'autrice- esecutrice di canzoni per l'infanzia, ma del tutto in maniera - non voglio dire casuale, perché niente è casuale, ma insomma imprevedibile. Quindi, un po' per le conoscenze e le amicizie che ho avuto con musicisti più giovani di me che sono poi alla fine diventati dei figli elettivi, e un po' per il mio pubblico che negli anni è diventato molto folto - voglio dire, il mio referente come pubblico sono i bambini - sono diventati, anche loro, dei miei possibili figli. Sicuramente loro me lo fanno sentire perché addirittura a volte, nella città in cui vivo, mi fermano e mi fanno capire che quello che gli ho dato è una sorta di eredità.
L'eredità di questa infanzia è stata senza dubbio questa mia attitudine al fiabesco e all'immaginario, perché, naturalmente, il mio spazio non potendo essere fisico è diventato "immaginale". E quindi è sempre rimasto vivo in me questo. Intanto è stato di un'importanza fondamentale per la mia sopravvivenza, è stato uno spazio salvifico. Tra l'altro io ricordo ancora che un medico - che poi è quello che mi ha guarito, tra l'altro - consigliò alla mia mamma di comprare una bellissima edizione, che era uscita in quel tempo, delle fiabe dei Grimm e per me queste fiabe dei Grimm sono rimaste proprio... cioè la via d'uscita, la via di salvezza. Fra l'altro c'è una bellissima fiaba dei Grimm che si chiama "L'acqua della vita", e da lì insomma così, anche se soltanto a livello immaginario, fantastico, un bambino capisce che esiste l'acqua della vita. Quindi una possibilità di uscire, di andare in un "oltre" dove tutto è possibile.
Naturalmente la conseguenza di questa malattia è stata che i miei reni, molto sofferenti, non erano proprio adatti a sopportare, a sostenere una gravidanza. Questa cosa io l'ho presa per buona e non mi sono mai fatta molti problemi in questo senso, poi insomma mi sono dedicata a tante cose; diversamente, invece nel mio percorso ho incontrato tante donne per le quali non procreare diventava una sofferenza. Cioè procreare a tutti i costi, come se fosse una perdita di significato nella vita non avere figli. E quindi ho visto gente che ha partorito a rischio della propria vita, oppure gente che come prima cosa, dopo il trapianto dei reni, ha voluto subito avere un figlio. Insomma la mia impressione, la mia testimonianza è che veramente per le donne, per moltissime donne, esiste questa priorità, senza la quale la vita veramente non ha non ha senso, comunque è di un'infelicità. Per me non è stato così."soggetto infanzia malattia trauma lavoro giudizio sociale padre famiglia d'origine eredità