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L’insostenibile Leggerezza Del (non) Essere Madre.

L’insostenibile leggerezza del (non) essere madre.

Giusy Salvio racconta di come sia cambiato il suo rapporto con l’idea della maternità negli anni, in un processo di autoconsapevolezza in infinito divenire.
Che non voglio figli lo dico da quando avevo tre anni. Più o meno, da quando mi ricordo.
Mi piacevano un sacco le Barbie. A loro, donne fatte anche se fisicamente irrealistiche, affidavo le mie avventure, ma non mi piacevano per niente bambole e bambolotti.

Non voglio cullare, non voglio dare il latte, non voglio cambiare il pannolino, non voglio sentir piangere, non voglio essere chiamata mamma.

Così pensavo e, strano a dirsi, così ho pensato ogni giorno della mia vita fino ad ora che la soglia dei 40 si avvicina.

Questo non significa che il mio rapporto con l’idea della maternità sia rimasto immutato nel tempo, anzi, con gli anni ha cambiato forma, si è evoluto, si è arricchito di nuovi dubbi e nuove certezze, mi ha fatto riflettere su altri aspetti di me stessa. Per certi versi, ha definito chi sono.

I vent’anni sono stati gli anni dell’affermazione, ostinata e orgogliosa, della mia diversità. Mi sentivo destinata alla grandezza – che bambina ingenua – ma ero anche pronta a perdermi nel mondo, a lasciarmi attraversare dalla vita, fare esperienza di tutto, andare avanti e tornare indietro, impegnarmi o abbandonare. In quell’orizzonte di libertà sconfinata, l’idea di un figlio era dissonante, quasi comica. Mi divertivo a dare risposte sarcastiche, provocatorie e ciniche alle domande sui bambini.

Non mi piacciono, mi fanno schifo, li odio. Se ti piacciono così tanto fanne uno tu!

Ho pronunciato frasi terribili a vent’anni. Frasi offensive, dure, piene di arroganza. Più intorno a me cercavano di convincermi della giustezza dell’avere figli e dell’accordo che DOVEVO trovare dentro di me per poter far nascere una creatura, più mi accanivo. E fino ai 30 anni è andata sempre peggio: più mi propinavano le gioie della maternità, più mi dicevano che il tempo era “arrivato” e più mi sentivo crescere dentro il disappunto. Che velocemente si è tramutato in disprezzo.

Disprezzo per la gravidanza

Non voglio avere qualcosa che mi cresce dentro. Non voglio sentirlo muoversi, non voglio che occupi spazio tra le viscere, non voglio che mi nuoti dentro la carne.

Disprezzo per il parto

Non voglio una creatura nata da me. Non voglio aprire le gambe per lasciare uscire la vita, non voglio respirare e spingere, non voglio squarciarmi.

Disprezzo per l’allattamento

Non voglio essere il nutrimento di un altro essere umano. Non voglio esporre il mio seno gonfio come un trofeo, non voglio essere cibo, non voglio essere carne divorata.

Disprezzo per la maternità

Non voglio la simbiosi, la fusione, quel rapporto sacro ed esclusivo. Non voglio quegli occhi che mi guardano come se fossi l’unica al mondo, non voglio guardare nessuno con lo stesso sguardo.

Neanche me ne accorgevo, ma erano sempre frasi in negazione. Sapevo molto bene tutto quello che NON volevo essere, ma facevo fatica a definirmi oltre, a definirmi altrove, a trovare me stessa al di là del rifiuto della maternità.

Paradossalmente, l’incontro con ciò che volevo essere non è arrivato con una relazione stabile, non è arrivato con il lavoro per cui ho studiato, ma è arrivato solo quando ho iniziato a trovare persone come me, a far parte di una comunità di donne senza figli.

Finalmente sentivo di far parte di qualcosa, di non essere così strana, così diversa, così aliena. E, molto naturalmente, ho allentato la presa sulle mie certezze, ho lasciato spazio ai dubbi e ai “se fosse”, mi sono concessa di pensarmi anche madre, tra le altre cose e – fatto strabiliante – alla fine del percorso (si fa per dire, visto che non finisce mai), ho riconfermato la mia scelta, ma è sparita la rabbia.

Ho compreso che tanta parte della mia ostilità era rivolta verso me stessa: avevo paura di essere madre perché non mi sentivo in pace, non mi sentivo sufficiente, non mi sentivo adeguata. Mi sentivo mostruosa, addirittura un pericolo per l’eventuale vita che sarebbe potuta uscire da me.

Quando ho capito questo ho smesso di odiare i bambini. Certo, non posso dire di essere una vera e propria estimatrice dell’articolo, ma riesco ad avere coi bambini (altrui) un rapporto sano e privo di ombre. Addirittura lavoro spesso con loro e, segreto segretissimo, mi danno molta più soddisfazione personale degli adulti.

Ho capito, dopo molto ascoltare le testimonianze delle altre donne e dopo molti approfondimenti sul tema, che era la struttura stessa della società in cui viviamo a costringermi, sin da bambina, a fare i conti con il fatto di avere un utero. E quest’educazione diretta e indiretta mi sovrastava al punto da farmi mettere in discussione la mia identità, perché non rispondevo alla chiamata della biologia e deviavo da ciò che il mondo si aspettava dovessi fare del mio corpo.

A 36 anni ho capito che io semplicemente i figli non li desidero. Senza troppa filosofia, senza psicologia, senza vergogna e senza orgoglio. Senza perché. “Non li desidero” è una risposta che ora mi basta. Non ho più bisogno né di mettermi in discussione né di marcare una linea spessa tra me e le madri. Ho fatto pace con l’idea della maternità, comprendo quel mondo e lo abbraccio, coi tempi e coi modi che posso, cercando di non giudicare anche ciò che reputo lontano da me anni luce.

Mi sono liberata definitivamente di quel bambino immaginario che ci insegnano a cullarci nella testa sin da bambine, e che sempre sin da bambine ci insegnano a ritenere più importante di noi stesse. Quel bambino mi impediva di vivere nella realtà, mi impediva di scoprirmi e aprirmi al mondo, mi soffocava.

Ora che è sparito sono in armonia con la mia vita, con le mie scelte e con quelle altrui.

Che fatica, sì, ma che gioia, finalmente!

di Giusy Salvio – Redazione Lunàdigas

 

 

 

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estella
estella
2 anni fa

siceramente, e senza polemica, non capisco l’urgenza di giustificare una scelta, non vuoi figli punto, è una tua scelta e nessuno deve permettersi di discuterla.

Silvia
Silvia
2 anni fa

Che bello sentire queste parole, sono rincuoranti, danno calore e soprattutto rispecchiano quello che provo. E’ bello sentire di non essere le sole a pensarla e a sentirsi in questo modo.

Ilaria
Ilaria
2 anni fa

Il più delle volte credo che sia la quota rosa della società a farci sentire inadeguate. Il più delle volte credo che ci sia una punta di invidia per aver saputo scegliere noi stesse e la nostra libertà fisica ed emotiva ( o se proprio non scelta almeno abbiamo saputo valorizzarla ).Tacciate di egoismo e insensibilità, suscitiamo nella madre media sentimenti di sgomento, di disprezzo e di incomprensione. Un po’ meno negativa l’opinione maschile mi sento di dire che sembrano perdere il lume per la quarantenne “childfree”. Grazie a tutte coloro che, per scelta o perchè la vita ha scelto… Leggi il resto »

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