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Lidia Menapace: "Non si può essere indipendenti nella testa se si dipende nei piedi"



La battaglia per l'aborto start 00:26:28end 00:33:18 Lidia parla dell'aborto e della violenza sessuale tramite alcuni aneddoti della sua vita sociale e politica.trascrizione LIDIA MENAPACE: "Vediamo intanto sull'aborto: perché sull'aborto intanto, visto che era reato, anche se di fatto non perseguito - perché poi c'era questa doppiezza perché una donna che abortiva poteva essere ma nessuna veniva denunciata, bisognava proprio che fosse una cosa molto solenne, che coinvolgeva una levatrice di grande fama, insomma di solito era una specie di reato tollerato, ma essere causa o comunque simbolo di un reato tollerato dà un tale peso sulla testa - sei una donna, potresti abortire e quando tu abortisci io ti tengo in pugno perché quello è un reato e posso denunciarti quando voglio; però lì non si poteva dire voglio uscire dall'aborto ergastolano perché l'aborto è un evento unico, non è una continuità come il matrimonio, quindi dovevi trovare un altro sistema. Allora il primo sistema fu quello di dire: "mah, è un grumo di sangue", io lì mi opposi dissi: "non è vero, è grumo sangue ma ha dentro una legge per cui si sviluppa poi in un certo modo". Quindi voglio dire che ho diritto a non volerlo dentro di me se non lo voglio, ma non perché è un grumo di sangue, perché se no è come un dente malato, me lo faccio togliere perché mi fa male, si campa lo stesso. No, lì è un'altra cosa insomma; e quindi bisogna andare un po' più a fondo di questa faccenda, e l'andare più a fondo era: finalmente devi convincerti e convincere la società che una donna è, in questo caso, come un uomo, una persona, e una persona è un fine e non un mezzo. E quindi ogni qualvolta dentro al tuo corpo c'è qualche cosa che è stato messo da qualcuno, che quindi usa il tuo corpo come mezzo per avere un figlio oppure non lo vuol più ti dà i soldi per abortire, eccetera, tu devi dire di no perché quello vuol dire che tu sei ridotta a strumento, comunque. Allora cominciamo a graduare: se questa cosa viene fatta con la violenza, perché non si deve abortire neanche se una rimane incinta dopo essere stata violentata? A rigore anche, e allora comincia un lungo cammino se con la violenza, se, senza volerlo, se, perché non ti sei riguardata, ma è lecito riguardarsi? Viene su una tale mole di problemi che tu ti accorgi che ogni volta che strappi uno di questi punti di questa impuntura cucita strettissima, respiri, non godi, perché magari è una cucitura che ti sta anche a cuore, ma ti accorgi che non ci stai più dentro, che non tiene; e quindi era sempre un misto di acquisto di libertà e non di quella libertà che ti fa essere più, come dire, scriteriata, ma che ti obbliga ad essere più severa addirittura con te stessa, più seria, più responsabile. Dai risposte, ma dai risposte a te, sei tu che ti fai le domande. E l'aborto ha cominciato ad essere questa cosa qui.
Finalmente, passando però per la violenza sessuale perché, l'esperienza invece più diffusa era quella di sentire parlare di violenza sessuale che praticamente ciascuna aveva paura di poter essere violentata, questo era; la paura era totale e tu cominciavi a dire: "porco mondo, se mi tocca stare in casa la sera per il fatto che non posso andare per strada, perché ho paura di essere violentata, dov'è che sono una cittadina?". Mi ricordo, io abitavo a Roma, stavo a Roma di solito a lungo, perché lavoravo per Il Manifesto, sono una delle cofondatrici de "Il Manifesto". Una sera tornavo a casa dal Consiglio Comunale, perché intanto ero Consigliera Comunale, ed era finito abbastanza presto, saranno state le nove e mezzo di sera, neanche le dieci, arrivo sotto casa e vedo donna che piange e dice: "mi hanno rubato la borsetta, mi hanno borseggiato, mi hanno scippato" e io: "Guardi, c'è un Ufficio di Polizia, qui vicino, l'accompagno". Arriviamo, l'accolgono, la fanno sedere, le danno un bicchiere d'acqua, si comportano molto bene, dopo di che fanno la fatidica domanda: "Ma signora che cosa ci faceva per strada da sola?". "Come?", dico io, "non era mica in un bosco alle tre di notte! Posso capire, ci si perde, casca, muore, arriva il lupo, non lo so, ma a Roma la sera alle nove e mezza? Signora non risponda!".
Non saremo libere fino a quando non potremo dire a uno che mi incantona per strada: "ero per strada per cercare un'avventura, ma tu non sei quell'avventura che cercavo", ecco!
Non ho bisogno di una ragione virtuosa per essere per strada; volevo andare a passeggio, non si può? è già sospetto?
E quindi già tutta la questione che coinvolgeva la violenza sessuale rimetteva in discussione proprio la condizione della donna come reclusa, reclusa a domicilio. Per cui la conquista della libertà era un lavoro lunghissimo, non finiva mai; e quando finalmente abbiamo cominciato a dire che il governo del proprio corpo non può essere delegato a nessuno e quindi chiunque pensi di poter, persino che ti ha legittimamente sposato, vuol dire che questo è vero sempre, in assoluto. E pensate che invece l'opinione contraria è talmente diffusa che quando si fece la legge sulla violenza sessuale, che quella italiana era l'ora ed è tutt'ora una delle migliori, non ci fu modo assolutissimamente, con due legislature, di far mettere che anche il marito se violenta è uno stupratore - questo non c'è, non c'è.
Noi presentammo una legge di iniziativa popolare, raccogliemmo un milione di firme - con difficoltà in Sudtirolo perché, sai com'è, qui non serve questa cosa, quando si scopre che anche in Alto Adige si ruba, come è successo da poco, tutti sono stupiti: "ma si ruba anche in Sudtirolo?", anzi in Alto Adige perché dire Sudtirolo è già un'offesa, devi dire Alto Adige che è una frase, una denominazione di tipo francese inventata per l'appunto al tempo di Napoleone."
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