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Franca Elisa: "Devo prendermi cura di me"



Il dolore e la rabbia start 00:28:23end 00:39:52 Franca Elisa racconta del suo rapporto con la morte a partire da alcuni episodi luttuosi vissuti in famiglia, e in cui la gestione delle emozioni, dettata anche dal contesto culturale generale, è stata lasciata inespressa, diventando dolore e rabbia. Racconta in particolare della morte di uno zio e della morte di un cugino coetaneo, figura per lei paterna e protettiva.trascrizione FRANCA ELISA: "Il periodo più brutto della mia vita è stato tra i quindici e i diciassette anni. Io avevo un cugino di tre anni più di me, un bambino di tre anni più di me è stato per me la figura paterna-materna, l'unica figura paterna che ho avuto. É assurdo da dire: lui era quello che mi proteggeva, che mi faceva vincere nei giochi, che mi diceva che ero intelligente, che mi proteggeva. Quando avevo quattordici anni abbiamo avuto il primo lutto importante in famiglia: uno zio di poco più di trent'anni si è ammalato - non si è mai capito se fosse un virus che aveva preso in Africa, zio lavorava sulle piattaforme petrolifere nell'Africa del nord o se... erano gli anni in cui si cominciava a parlare di AIDS, hanno fatto tutti i controlli del caso ma non si è mai capito. La mattina del 14 febbraio tornando da scuola non trovo nessuno a casa, uno zio mi venne a prelevare dicendo: "mamma ha da fare". Non si parlava di malattie, le malattie erano un tabù. Non si dovevano mostrare i sentimenti, non si doveva mostrare il dolore, non si doveva consolare. Forse il verbo "dovere" è sbagliato. Non era nella cultura, non c'era l'abitudine, un grandissimo pudore. Io quel giorno ero tornata anche piuttosto allegra da scuola. Era una giornata… era il giorno di San Valentino, avevamo scherzato, giocato e io sono stata prelevata e portata a casa di una zia la quale mi aveva totalmente messa a mio agio: "mangia, gioca, studia, i compiti da fare, non pensare nulla, non è successo niente". E ho scoperto tutto - le cose non mi suonavano tanto bene... ho scoperto che zio era morto origliando una telefonata... origliando una telefonata. E quando mio padre è venuto a prendermi la sera gli ho detto: "perché me lo avete tenuto nascosto!? Perché non me lo avete detto?" e lui, sempre nell'incapacità, l'incapacità di mostrare sentimenti o l'incapacità di... abbracciarmi, di consolarmi in un momento di dolore mi rispose: "non c'è... che cosa avrei dovuto dire"?
L'unico che mi è stato vicino in quel momento è stato un ragazzino di diciassette anni. E' stato l'unico ad abbracciarmi, l'unico a dirmi: "se hai bisogno sto con te questa notte". Poco più... a novembre successivo mio cugino si è ammalato, si è ammalato di tumore. Non gli hanno dato più speranze, nel momento in cui hanno scoperto che cosa aveva, gli avevano detto che sarebbe vissuto forse altri due o tre mesi. Il Natale più brutto della mia vita. Anche lì... anche lì ho intuito, ho capito, ho origliato, nessuno mi ha informato, nessuno mi ha detto nulla. Ma neppure a lui dicevano nulla. Lui sapeva che stava male, sapeva che andava da un ospedale all'altro ma non sapeva nulla. Un giorno mi ha chiuso dentro una stanza, mi ha chiuso a chiave dicendomi: "almeno tu, almeno tu devi dirmi la verità". Che ne sapevo io della verità! Ero stupida e piccola, avevo quindici anni. Avevo quindici anni, cosa mi dovevano dire, cosa dovevo sapere io? E ci siamo abbracciati, siamo stati a piangere. Siamo stati a piangere per un'oretta senza sapere che cosa dire. Sono passati nove mesi perché era agosto, è morto ad agosto, e in quei nove mesi lui è cambiato. Non era più il mio eroe, non era più il mio fratellone maggiore, non era quello che mi proteggeva. E' diventato cattivo, è diventato cattivo, arrabbiato, arrabbiato col fatto che io fossi libera di andare in giro a giocare, a scherzare e divertirmi con gli amici. Io ero scappata, non riuscivo a reggere tutto il dolore e la rabbia che lui aveva, tutto il dolore che c'era in quel momento. Facevo l'adolescente: uscivo con le amiche, andavo ai concerti. Una mattina di agosto sono stata buttata giù dal letto con una certa violenza da mia madre che, arrabbiata, mi diceva: "stai ancora a dormire... alzati!" e mi ha trascinata in ospedale - io non avevo più voluto vedere mio cugino da qualche mese anche perché non era neppure possibile vederlo - e sono riuscita a vederlo per salutarlo qualche giorno prima che morisse. Era un ragazzo bellissimo, ma veramente bello ed era irriconoscibile in quel letto d'ospedale. In quel momento è iniziata la rabbia, la rabbia che mi sono portata dietro per tutta la vita. E una frase di mia madre mi colpì tantissimo: ogni volta che io facevo qualcosa di sbagliato, che tornavo a casa ubriaca, facevo tardi, facevo qualcosa che non andava bene... lei un giorno mi disse: "prima di morire Salvo mi ha detto: zia prenditi cura di Elisa". Un ragazzino di diciannove anni che stava morendo ha dovuto dire a mia madre di prendersi cura di me perché lui non lo avrebbe più potuto fare.
Mi fa rabbia il fatto che non si possa fare nulla. Non mi spaventa la mia morte. Non è la mia che mi spaventa.
Nel giro di un anno e mezzo ho perso due persone molto amate, molto molto amate e ho visto un dolore nelle persone che sono rimaste... muto. Le mie zie, una aveva perso l'amore della sua vita con due ragazzine di sette e due anni da crescere. Da sola, mia zia non lavorava, aveva perso l'amore della sua vita, l'uomo che aveva scelto e che ha sposato scappando di casa contro il volere di nonno; che la trattava come una principessa, non aveva mai lavorato, era sempre stato lui accanto a lei. Lei si è rimboccata le maniche, ha tirato su due donne meravigliose. Dicevamo, scherzando, sembrano quasi il film "Speriamo che sia femmina": tre donne da sole che si sono appoggiate l'una con l'altra ma un dolore immenso... la perdita dell'uomo amato, mia cugina che aveva perso il padre che per lei era l'eroe assoluto, l'altra che neppure se lo ricordava perché aveva due anni quando è morto ed ha passato gli ultimi due anni in ospedale. Un'altra zia che ha perso un figlio e che per anni non è uscita di casa. La morte la vedo… con rabbia, con rabbia."
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