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“C’è Una Parte Di Me Che Si Sente Lunàdiga, Pur Avendo Una Figlia”

“C’è una parte di me che si sente lunàdiga, pur avendo una figlia”

La testimonianza di C., 37 anni:

LUNÀDIGAS il film mi è piaciuto tanto.  Quanto è importante l’aver trovato una parola precisa! Che non contenga una negazione o una privazione, in cui riconoscersi, anche quando non vi si appartiene del tutto. Una, doppia, divisa ed unita, nel mondo e fuori dal mondo. Quante sono, quante siamo! Sono convinta che, come dice una della “ragazze”, essere lunadigas non abbia nulla a che vedere con l’esercizio della maternità. Il materno è una bellissima categoria. Bellissima perché si manifesta, si esterna, a prescindere dalla maternità naturale, e perché ci accomuna tutte, per lo meno a partire dall’inizio della nostra vicenda umana!

Io, che una figlia l’ho avuta, e che mi sono rivista e risentita nei ragionamenti e nei pensieri di tutte le altre, nell’impianto di un racconto non racconto che crea un universo di senso, ricordo perfettamente in quali e quante altre forme abbia esercitato sin da piccola “la cura”. Quanti cani, gatti, uccellini, anche pipistrelli trovati, salvati, allevati, seppelliti. Insomma esercitavo il materno senza saperlo e questo bisogno di accudimento, di educazione, di trasmissione di sentimenti, visioni del mondo si è esercitato anche nel fare poi una figlia. Ma non credo in nessun modo che sia stata la sua evoluzione, che tutto il resto, cani gatti e affini, fosse una propedeutica o un palliativo per la maternità biologica.

Poi c’è stata anche la figlia, che ha prodotto nel mio caso un’idea di perpetrazione di me, di immortalità, ma anche l’improvvisa comprensione ed ammissione di mortalità, finitezza.

Oggi, che tutti mi dicono che è tempo di fare un secondo figlio prima che sia tardi, tergiverso. Desidero? Non desidero? Ho avuto un cane, una cagnolina amatissima, ultima della cucciolata, quella destinata a morire, esclusa dalla madre e da me scelta ed amata alla follia, Kira, che è stata lunadiga per natura, unica, irripetibile. Forse sono stata più madre per lei di quanto non lo sia per mia figlia. Forse non avrò mai più con nessun altro essere vivente un rapporto così profondo come l’ho avuto con Kira. Non posso dirlo in giro, mi prendono per matta, ma è stato davvero così. Solo con lei mi è capitato di comunicare attraverso i sogni, di capire attraverso i sogni, ad esempio, se lei stava male e aveva bisogno del veterinario, e questo amore ha prodotto un incredibile allungamento della sua vita. Non so dire esattamente dove questo docu-non-film ha colpito, centrato il segno dentro di me, né perché mi faccia pensare al mio cane accudito come un neonato fino ad un’età impossibile per un setter (18 anni e mezzo!), o perché accenda tante riflessioni sulla verità del desiderio. Spontaneo, indotto, veicolato.

Di certo nella mia vita l’aver avuto mia figlia (ho sempre voluto una figlia femmina, femmina come erano i cani e i gatti e anche i pipistrelli che mi capitavano, e quando all’età di 10 anni ho perso la mia nonna amata, ho deciso che a questa mia figlia che sarebbe venuta avrei regalato il suo nome, e così è stato) ha prodotto un’accelerazione del movimento, uno sforzo produttivo che forse non avrei avuto senza di lei. Cioè, ho fatto di più per me stessa da quando lei c’è, più di quanto non avessi fatto prima, quando ero “libera”.

Lei è stata slancio, energia, motore, motivazione. Poi è stata chiaramente anche freno, fatica, sforzo, fonte di frustrazione. Ma rispetto alla mia natura, è stata un dono. Io mi sono sempre vista, fisicamente, inadatta alla procreazione. Magra, fianchi stretti, agitata, nervosa, una falsa estroversa riflessiva e pure malinconica, non mi sentivo buona per questo. Infatti la gravidanza è stata difficile, il parto anche. Prima e dopo di lei ho avuto due aborti volontari e non mi sono mai pentita. Non ho avuto sensi di colpa. L’avere però una figlia desiderata mi ha modificata, anche il mio carattere è cambiato. Si è migliorato. Ho smesso di digrignare i denti la notte e di sprecare tempo. Ho imparato ad accettarmi e a volermi più bene. Insomma, mi sono aperta alla vita. Eppure, c’è una parte profonda di me che si sente lunadiga! Come è possibile questo? Non lo so, ma c’è talmente tanto materiale in questo vostro viaggio da lasciare aperte certe domande, in attesa di andare avanti.

Lunadiga è una parola che apre mondi di studio, comprensione, assonanze, reminiscenze e lampi d’intuizione.

Una coppia di mie amiche carissime ha deciso di fare di tutto per avere un figlio da un donatore anonimo. Abbiamo scritto insieme un film che sta per essere girato su questa vicenda. Avrebbero adottato, se la legge glielo avesse permesso. Invece sono andate in Spagna e si sono indebitate per poter esercitare direttamente questo desiderato materno. Come si può comprare o vendere la vita? Ancora non l’ho capito cosa penso di questa mercificazione degli spermatozoi, mi disturba l’utero in affitto, mi sembra una nuova forma di violenza non solo sul corpo della donna, ma anche sul corpo del figlio, però appoggio totalmente le mie amiche nella loro scelta di maternità. Sono con loro per difenderle e sostenerle.

Quante contraddizioni!

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